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Quando l'informazione diventa conoscenza?

17 Febbraio 2011 | di Arduino Mancini Capitale intellettuale, Proprietà Intellettuale
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Secondo P.H. Sullivan, autore del libro Profiting from Intellectual Capital, la conoscenza è l’informazione che genera valore.

Recentemente mi sono trovato a dover trasferire questo concetto e ho avuto, debbo confessarlo, qualche difficoltà.

Allora ho impiegato questo filmato, che ho girato lo scorso dicembre in Alto Adige, durante una breve vacanza.

Se avrete voglia di guardarlo (dura poco più di un minuto) potrete notare che il torrente di particolare non ha niente, se non la sua semplice tranquillità.

Potrete anche notare che il ghiaccio, nel torrente, si pone ai margini del flusso dell’acqua; questo perché quando le temperature non sono molto basse la velocità impedisce all’acqua di congelare: è solo ai margini del flusso, quando la velocità diminuisce, che l’acqua riesce a cambiare stato.

Ora, immaginate che l’acqua rappresenti il flusso di informazioni che ogni giorno invade la nostra mente: telefono, mail, pubblicità, TV. Un flusso impetuoso difficile da governare.

Se vogliamo che le informazioni diventino conoscenza dobbiamo imparare a governarne il flusso, decidendo noi quando e come esporci a esso.

Cosa ne pensi?

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Commenti
luigi 18 Febbraio 2011 0:00

C’è ancora un livello più basso, quello del “dato”.
Il dato diventa informazione quando ci permette di scegliere.
L’informazione diventa conoscenza quando ci permette di capire.
Gli informatici lo sanno bene (ed io lo sono). Dal dato semplicemente memorizzato, praticamente inutilizzabile, si passa all’informazione organizzando i dati in “database”.
I database producono conoscenza quando sono organizzati in “datawarehouse”.
Se qualcuno vuol saperne di più sono a disposizione.
Luigi

    AM 21 Febbraio 2011 0:00

    Ciao Luigi,
    perché non ci scrivi un breve articolo sul tema?
    A presto leggerti,
    Arduino

luigi 23 Febbraio 2011 0:00

La parola “dato” è ormai entrata nel gergo comune, anche se pochi ne conoscono effettivamente il significato. Siamo letteralmente subissati da dati. Ci navighiamo dentro senza quasi accorgercene. A volte sono talmente tanti da rendere difficile anche un loro elementare utilizzo. Il successo dell’informatica è basato principalmente sulla possibilità, divenuta reale con l’avvento dei computer, di organizzare questi dati in strutture intelligibili, quindi utilizzabili a fini specifici. Prima ancora dello sviluppo delle applicazioni grafiche e di internet i computer erano già diventati a noi indispensabili perché erano in grado di supportare le Banche Dati, cioè i DataBase, strumenti fondamentali per organizzare le informazioni in strutture leggibili per una varietà infinita di soggetti. Lo strumento elettronico ha fatto diventare realtà concreta quanto già elaborato nella Teoria dell’Informazione, da matematici come C. Shannon, che mai, forse, avrebbero pensato che lo loro elucubrazioni teoriche avrebbero avuto applicazioni pratiche in ambiti così diversi da quelli originali per le quali erano state concepite. Le banche dati non sono semplici accumuli di dati. Secondo regole precise questi vengono organizzati in tabelle separate, ma “relazionate” da informazioni aggiuntive. La mole complessiva di questi dati può essere enorme, ma è comunque limitata alla particolare fattispecie per la quale il database è stato concepito e realizzato. Ciò che è teoricamente infinito è il numero delle diverse estrapolazioni di dati strutturati attivabili per ciascun database. Il risultato è la disponibilità di uno strumento che trasforma il dato grezzo in informazioni che ci permettono di prendere, in tempi brevissimi (in tempo reale, si direbbe) decisioni anche di vitale importanza. Si può decidere, nel controllo di un fenomeno, mentre questo fenomeno si sta evolvendo sotto i nostri occhi. Questo è il reale significato di “controllo in tempo reale”. Ma siamo ancora a livello di informazione, che costituisce un fondamentale strumento decisionale senza il quale non saremmo riusciti, più di 40 anni fa, quando l’informatica era ancora agli albori, neanche ad andare sulla Lune, mentre oggi, senza i computer, non uscirebbe neanche acqua dai nostri rubinetti. I database hanno permesso di costruire la nostra complicata e fragilissima struttura sociale, che ci permette di fare cose che mai l’umanità si sarebbe neppure sognata di realizzare. Internet è la “pietra filosofale” di cui gli antichi sognavano di poter, un giorno, disporre per acquisire in ogni momento qualunque informazione, in tempi brevi, nella versione più completa e, soprattutto, aggiornata. Ma questa non è ancora “cultura”. L’informatica non si è fermata ai database. Ad un certo punto gli specialisti del campo si sono chiesti se non fosse possibile, avendo a disposizione uno o più database, conservare, in una ulteriore, apposita, struttura informatica, anche l’evoluzione storica della base informativa di questi. Ogni banca dati non è mai una struttura statica. Si evolve nel momento in cui operiamo degli aggiornamenti, delle aggiunte o modifiche ai dati che vi sono memorizzati. Ma vi sono informazioni che riguardano anche il flusso delle consultazioni, degli accessi, che evidenzia l’interesse che un determinato aspetto della sua organizzazione ha suscitato nei suoi utilizzatori. Tutte queste informazioni possono essere ulteriormente recuperate, conservate, aggiornate ed utilizzate. E’ così che nasce il “Data Warehouse” (letteralmente “magazzino di dati”), una struttura che, al contrario del database, è costituita da una mole teoricamente infinita di informazioni, elaborabili in un campo relativamente ristretto e limitato di possibili interrogazioni. Qui siamo giunti al livello della “conoscenza”. Il supporto decisionale che ne deriva diventa “politico e strategico”. Non siamo più a livello dell’informazione che ci permette di scegliere rapidamente su problema che evolve in tempo reale, ma è il supporto decisionale che ti da la possibilità di capire la natura di un fenomeno, la sua evoluzione, per scelte sul lungo periodo che, al momento, possono apparire contraddittorie, ed essere quindi, anche impopolari. E’ come se, guidando un’auto, non fossimo solo in grado di decidere se sorpassare o no l’auto che ci precede, ma potessimo anche capire…dove stiamo andando e perché ci stiamo andando.
Questo in estrema sintesi.
Spero di non aver annoiato.
Luigi

Francesco 1 Agosto 2012 0:00

Spesso si fa confusione, ma ci sono infatti tre livelli di sistema, l’uno inglobato dall’altro. Sistema Informatico: gestione del dato. Sistema Informativo: gestione delle informazione. Sistema di gestione della conoscenza: gestione dei processi (attività, eventi e risultati).

Mauro 10 Dicembre 2013 0:00

ciao

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