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Perché è necessario, a scuola, combattere la noia.

3 Ottobre 2014 | di Arduino Mancini Formazione

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Il Cedefop (Centro Europeo per lo sviluppo della Formazione Professionale), ha presentato una ricerca su dati Eurostat sull’abbandono scolastico nel 2012, del quale presento un grafico e i tratti salienti.

Dico subito che la ricerca è stata accolta da gran parte della stampa italiana con una semplificazione terrificante: Napoli maglia nera in Europa come abbandono scolastico.

Ebbene se i giornalisti, evidentemente a caccia di notizie sensazionali, si fossero presi il disturbo di approfondire i contenuti della ricerca avrebbero trovato cose ben più preoccupanti della situazione napoletana.

Ma veniamo ai numeri:

  • l’abbandono scolastico costa all’Europa 1,25% del PIL;
  • L’Italia è uno dei Paese dove l’abbandono è più forte (17,6%) e in crescita, con punte in Campania e in Sicilia del 25%. Il dato comunitario è pari al 12,7% (in diminuzione) e l’obiettivo fissato per il 2020 è del 10%;
  • il picco di abbandono in Italia si verifica intorno ai 15 anni, quando i ragazzi frequentano il biennio delle superiori;
  • diversi i Paesi che fanno peggio di noi (ad esempio Romania, Spagna, Portogallo) ma molti altri, con i quali siamo in competizione industriale (ad esempio Germania, Regno Unito e Olanda) hanno già raggiunto o raggiungeranno l’obiettivo del 10% in anticipo.

Come combattere il fenomeno?

Dal pdf che puoi scaricare facendo clic su questo collegamento potrai notare che molti paesi hanno preso iniziative che stanno dando buoni risultati: dalla formazione differenziata al collegamento con le imprese per favorire percorsi che accrescano la probabilità di collocazione dei ragazzi nel mondo del lavoro.

Non ho notizia di iniziative simili in Italia, se non molto limitate.

Ma non possiamo ignorare che un ruolo importante nell’abbandono scolastico è giocato dalla noia; troppo spesso un ragazzo di 13-15 anni non vede l’utilità dello studio di materie che sente lontane.

E la noia prende il sopravvento. Perché soffrire fermi, su un banco, a cercare di capire cose delle quali “non te ne può fregare di meno”?

Sono convinto che una didattica nuova, capace di coinvolgere i ragazzi e di catturare la loro attenzione, anche ascoltando le loro proposte, avrebbe un effetto positivo sull’abbandono scolastico; già, perché i ragazzi sono meno sprovveduti di quanto pensiamo.

Non ci credi? Guarda questo video.

Insomma, per troppe persone che hanno un ruolo nell’istruzione cambiare la didattica significa adottare un tablet, dimostrando così di non distinguere fra metodo, contenuto e strumento.

Per concludere, credo fortemente che la drastica riduzione dell’abbandono scolastico e una nuova didattica consegnerebbe alle imprese anche persone più consapevoli e motivate a imparare, un capitale umano capace di contribuire alla loro competitività e alla capacità di resistere ai cicli economici.

Cosa ne pensi?

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Commenti
Ilaria 8 Ottobre 2014 0:00

Pienamente d’accordo

Cesare 9 Ottobre 2014 0:00

Checché ne pensi Squinzi, non credo che dipenda dalle materie che si insegnano – più utili, meno utili al lavoro: questo ha probabilmente influenza sulla possibilità di trovare lavoro dopo, ma anche su questo si potrebbe discutere, il mondo del lavoro cambia tanto in fretta che è impossibile sapere cosa servirà davvero tra tre, cinque anni.
Meglio formare una persona con curiosità, intelligenza e saperi trasversali che un tecnico preparatissimo che potrebbe diventare facilmente obsoleto e difficilmente ricollocabile.
Io credo che dipenda in buona parte dagli insegnanti. Prima di tutto, devono amare essi stessi la materia – se no come fanno a farla amare? E poi coinvolgere, non passare solo nozioni… quelle oggi si trovano in un momento, ormai grazie agli smartphone giriamo tutti con tutto lo scibile in tasca.
Io ho avuto la fortuna di avere (anche) eccellenti insegnanti, eindipendentemente dalla materia sono loro che mi hanno aperto la mente permettendomi oggi di studiare gli ecosistemi narrativi transmediali o le normative sui trasporti internazionali con la stessa (relativa, ovviamente, ché sono materie complesse) facilità. E di insegnanti buoni ce ne sono tanti, ma in una scuola che non premia il merito in alcun modo.
A proposito di questi insegnanti, raccomando a tutti la lettura di “Comme un Roman” di Pennac (http://it.wikipedia.org/wiki/Come_un_romanzo): niente è più utile che far amare la lettura, è una porta che aprirà poi a qualunque strada o argomento, anche ai nativi digitali.

Cesare 9 Ottobre 2014 0:00

…dovevo saperlo, che ad Arduino non poteva essere sfuggito… https://www.tibicon.net/libri/come-un-romanzo

AM 10 Ottobre 2014 0:00

🙂

Mary 15 Dicembre 2016 0:00

Purtroppo è verissimo.
Credo anch’io che occorra rinnovare completamente il modo di fare didattica.
Aggiungo che molte persone scelgono l’insegnamento non perché realmente portate ma semplicemente perché a volte lo vedono come l’unica alternativa possibile….non sono mie deduzioni, ma parole che ho sentito da alcuni di essi.
A mio parere un buon insegnante deve essere anche un po’ “attore”: non solo deve conoscere bene la sua materia, ma deve anche saperla presentare, essere in grado di comunicare agli allievi la sua passione, coinvolgerli…e non è facile.
Ho avuto la fortuna di avere qualche professore così è a distanza di anni li ricordo ancora con affetto e stima. Ma soprattutto continuo ad approfondire le materie che insegnavano!

Mary 15 Dicembre 2016 0:00

Scusate, la “e” della penultima frase non ha l’accento…maledetto correttore!
Se lo leggesse la mia vecchia prof. di italiano 😉

AM 21 Dicembre 2016 0:00

Già, Mary, senza interesse non c’è apprendimento.
Auguri!

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