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Brexit, leadership e valore del dubbio

27 Giugno 2016 | di Arduino Mancini Brexit, che tragedia! - Fare il (e la) leader, che fatica…

Brexit e leadership

Devo confessare che uno dei pochissimi aspetti positivi della scellerata decisione britannica di uscire dall’EU sta proprio negli innumerevoli spinti di riflessione che offre.

Ne avrei fatto volentieri a meno, ma prendiamoci quel poco che di buono arriva da questa crisi, fin troppo annunciata, e facciamo qualche riflessione su ciò che hanno mostrato i leader politici in questo frangente.

Andiamo con ordine.

Dopo aver strappato eccellenti condizioni affinché la Gran Bretagna restasse all’interno dell’UE, il primo ministro conservatore David Cameron ha voluto il referendum per chiedere ai suoi concittadini se restare o uscire dall’UE: un eccesso di fiducia nel risultato finale che rischia di costare carissimo a troppi milioni di persone.

Jeremy Corbyn, capo del partito laburista britannico, ha letteralmente snobbato il referendum. Come molti altri politici schierati per il “Remain”, cioè la permanenza in UE, non ha certo fatto sfoggio di sostegno appassionato alla causa europea, contribuendo al risultato che è sotto gli occhi di tutti. Suoi autorevoli colleghi di partito lo hanno pubblicamente sfiduciato e non scommetterei un centesimo sul fatto che possa restare alla guida del partito, soprattutto dopo la decisione della Scozia di indire un nuovo referendum, dopo quello del 2014, per uscire dal Regno.

I leader dei principali Paesi Europei sembrano tentennare sul da farsi:

  • Spingere la Gran Bretagna a uscire subito o pazientare e vedere che succede nel regolamento dei conti interno?
  • Prendersi dei rischi con azioni di rilancio dell’Unione, avviando finalmente un progetto politico di grande respiro o avere un atteggiamento più cauto, in vista delle importanti consultazioni elettorali all’orizzonte?
  • E soprattutto, privilegiare l’interesse comune o proteggere i destini personali?

“Coraggio”, se ci sei batti un colpo.

Ma fra quanti hanno mostrato scarsa lungimiranza certo spiccano i principali artefici del “Leave”, cioé dal distacco del Regno Unito dalla UE: Nigel Farage, capo dell’UKIP (United Kingdom Independence Party), e Boris Johnson, ex sindaco di Londra e politico conservatore in odore di successione alla poltrona di David Cameron.

Entrambi si sono gettati anima e corpo nella battaglia referendaria, dalla quale escono piuttosto malconci, per alcune ragioni:

  • Farage per la perdita di credibilità che egli stesso ha causato, dichiarando a una giornalista che le promesse fatte durante la campagna per il “leave” non sono sostenibili;
  • Johnson, invece, è accusato dal partito di aver assunto la posizione referendaria non per convinzione ma per tornaconto personale, pensando cioé di accelerare la successione a Cameron. Commovente la dichiarazione a caldo sull’esito del referendum, nella quale ha affermato che non c’è “nessuna fretta” di lasciare l’UE: maldestro tentativo di calmare avversari e compagni di voto, molti dei quali si erano improvvisamente resi conto del gesto compiuto, e di prendere tempo per affrontare una situazione imprevista.

Eppure, la peggiore sconfitta per i due leader non è in queste situazioni; essa è da ricercare piuttosto nella determinazione di Irlanda del Nord e Scozia di indire un referendum per lasciare il Regno Unito: insomma, dopo aver vinto la battaglia per portare il Paese fuori dall’UE hanno scoperto di aver dato un colpo probabilmente mortale alla sua unità.

Frantumandolo.

Ora, una riflessione finale: che cosa hanno in comune i leader politici che ho citato in questo post?

A mio avviso:

  • tutti hanno mostrato una forte propensione ad andare avanti per la propria strada, nella convinzione che fosse quella che li avrebbe portati al successo desiderato. Un successo che non hanno mai messo in discussione;
  • nessuno di loro ha dato segno di interrogarsi circa la possibilità che si verificassero le situazioni, peraltro largamente prevedibili, che oggi stiamo affrontando e che li avrebbe trasformati in vincitori di carta;
  • il sedersi a tavolino davanti a un foglio bianco per domandarsi “cosa succede se…” non sembra essere cosa che appartiene loro.

Del resto, i leader li vogliamo sicuri di sé.

O no?

Sempre sulla Brexit puoi vedere questa mia vignetta.

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