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La (in)sostenibile leggerezza del manager

strategie di business 480

Visto che siamo fra noi, ce lo possiamo dire: il cambiamento, l’innovazione e tutto quello che si portano dietro sono una gran seccatura.

Nei nostri sogni, intere generazioni vivrebbero in un mondo immutabile, le une vicine alle altre, con il futuro dipinto di rosa da posti fissi ragionevolmente garantiti; nessuna necessità di aggiornamento, consumi stabili, nessun bisogno di fare manutenzione a quelle quattro cose che abbiamo imparato sui banchi di scuola o all’università, nessuno a gridare allo scandalo quando i figli sostituiscono i padri nella stessa azienda.

Ma poi arriva il rompiscatole di turno, quello che a starsene in poltrona senza pensare proprio non ce la fa, e che s’inventa quella cosa odiosa della quale cominciano a parlare proprio tutti e che non mi ricordo mai come si chiama…

Ah, sì, la disruptive innovation, la novità che crea nuovi mercati e ne distrugge altri, e che ci costringe a ribaltare le imprese come fossero calzini; a licenziare persone e ad assumerne altre, convertendone quante più possibile, e a cambiare la cultura aziendale: facile, come bere un bicchiere d’acqua.

E quando non ci si mette l’innovazione disruptive, ecco che compare quella evolutiva, forse ancora peggio della prima; quella almeno la vedi, immediata, improvvisa, che quando ti si para davanti capisci subito che niente sarà più come prima.

Ma quella evolutiva no, quella neanche la vedi: è fatta di cambiamenti impercettibili, apparentemente innocui, una malattia inesorabile che avanza lentamente e distrugge tutto quello che le si para davanti. E ti accorgi di lei quando ormai è entrata nella tua vita e non potresti più cacciarla, neanche se volessi.

E allora, che fare?

Lasciare che cambiamento e innovazione facciano il loro corso lasciandosi dietro una scia di disagio e sofferenza, oppure provare a giocare la partita con le stesse armi di quei rompiscatole che se ne inventano sempre una?

Credo proprio che dobbiamo metterci l’animo in pace e bere l’amaro calice: poiché innovazione e cambiamento non possiamo evitarli, rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di fare la nostra parte, cerchiamo di trasformando in qualcosa di sostenibile, gestibile senza troppi mali di pancia.

Come si fa? Esiste una ricetta?

Devi innanzitutto sapere che le imprese leader nel mercato di riferimento fanno molto fatica a rimanere in vetta quando tecnologie o altri fattori decisivi cambiano. Perché aziende che oggi investono in modo massiccio in tutto ciò che è necessario per mantenere i loro Clienti non riescono a investire nelle tecnologie che altri Clienti, con ogni probabilità diversi, richiederanno in futuro?

La risposta è semplice: le imprese restano “troppo” vicine ai loro mercati ed esitano a mettere in discussione tutto ciò che si è finora dimostrato vincente.

Come superare una situazione tanto pericolosa?

Una strada consiste nell’adottare una strategia cosiddetta “ambidestra”, che consiste nel continuare a investire nel mercato che oggi garantisce “la pagnotta” e contemporaneamente esplorare nuove strade, per evitare che i cambiamenti nei mercati e nelle tecnologie erodano il vantaggio competitivo faticosamente costruito; facile a dirsi, per niente da farsi: e per evitare che le due anime dell’impresa finiscano fatalmente per collidere impiegano aziende o divisioni completamente scollegate da quelle che seguono il mercato di riferimento.

Questo fanno le imprese che riescono a rimanere al vertice molto a lungo: evitano di restare attaccate al comfort e pensano a cosa potrà funzionare “dopo”.

Come si comportano invece le imprese che non riescono a restare a lungo al vertice, o che addirittura vivacchiano senza raggiungere un’autentica leadership?

Fra le soluzioni di sviluppo organizzativo che ho registrato con maggiore frequenza cito l’abitudine di promuovere a posizioni manageriali la persona più esperta, che finisce per essere anche in possesso di una conoscenza specifica superiore a quella dei collaboratori: il contabile più bravo diventava responsabile amministrativo, il miglior venditore assurge alla carica di sales manager, il miglior tecnico di assistenza prende la responsabilità di tutte le attività di assistenza.

I Collaboratori hanno così nel Capo un punto di riferimento; lui sa tutto quel che c’è da sapere, a lui tutto si può chiedere e lui, nell’improbabile caso in cui non sia preparato, ha l’onere di scovare la risposta.

Ma un bel giorno le stesse imprese cominciato a realizzare che la conoscenza disponibile è andata moltiplicandosi, anche per il dirompente avvento di Internet, grazie a una rapidità di movimento e di facilità di accesso mai sperimentate in precedenza; pian piano scoprono che tutto quello che c’era da sapere in una sola testa non ci sta più.

Nello sconcerto di molti Capi, i Collaboratori si erano trasformati da propaggini a persone portatrici di conoscenze specifiche, essenziali per l’organizzazione: un cambiamento anche in questo caso graduale, quasi non avvertito.

Come lo ha vissuto il Capo?

Beh, molti non se ne sono accorti e continuano a sentirsi in obbligo di essere i principali depositari  di una conoscenza che, tutta insieme, non possono detenere; sono cresciuti nel silenzio di un latente senso di inadeguatezza, nell’ansia di non sentirsi “in tiro”, di perdere una leadership basata su un sapere esclusivo, in un’organizzazione che corre inconsapevolmente verso il declino.

Il cambiamento di rotta consiste nel prendere consapevolezza del fatto che il manager non è più obbligato a detenere tutto il sapere relativo alle responsabilità che gli sono state affidate, e che il suo compito consiste nel gestire conoscenze e competenze delle quali i suoi Collaboratori sono portatori: apparentemente rinunciando al potere, nei fatti creando le condizioni per un vantaggio competitivo sostenibile.

Insomma, quella di adottare una strategia ambidestra sembra essere una strada dura, difficile, una vera seccatura: della quale faremmo volentieri a meno.

Ma rinunciarvi sarebbe, da parte del management, una leggerezza.

Quanto (in)sostenibile?

 

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Commenti
Alessandro Cardoselli 12 Febbraio 2021 16:51

Mi convince molto quello che dici e mi piace lo stile con cui lo trasmetti.

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