{"id":13072,"date":"2011-01-10T00:00:00","date_gmt":"2011-01-09T23:00:00","guid":{"rendered":"https:\/\/www.tibicon.net\/le-interviste-2\/giampiero-gramaglia\/come-cambia-informazione-era-internet-dalla-notizia-di-agenzia-alla-crisi-della-carta-stampata-intervista-a-giampiero-gramaglia\/"},"modified":"2019-04-04T12:30:52","modified_gmt":"2019-04-04T10:30:52","slug":"come-cambia-informazione-era-internet-dalla-notizia-di-agenzia-alla-crisi-della-carta-stampata-intervista-a-giampiero-gramaglia","status":"publish","type":"page","link":"https:\/\/www.tibicon.net\/come-cambia-informazione-era-internet-dalla-notizia-di-agenzia-alla-crisi-della-carta-stampata-intervista-a-giampiero-gramaglia\/","title":{"rendered":"Come cambia l\u2019informazione nell\u2019era di Internet - Un\u2019intervista a Giampiero Gramaglia"},"content":{"rendered":"

\"\"Che cosa succede al mondo della carta stampata?<\/p>\n

Perch\u00e9 i giornali vendono sempre di meno, almeno nella forma cartacea?<\/p>\n

E le agenzie di notizie, mantengono o no il ruolo di garanzia della qualit\u00e0 dell\u2019informazione in un mondo in cui siti Internet di varia natura e blog assurgono al rango di fonte autorevole?<\/p>\n

Giornalista di grande esperienza internazionale, Giampiero Gramaglia ci offre sia la sua visione della crisi della stampa, sia uno spaccato di come sta cambiando il modo di fare giornalismo.<\/p>\n

Senza rinunciare a raccontarci di come i nuovi media stanno influenzando il modo di fare informazione.<\/p>\n

Di seguito l’intervista.<\/p>\n

Domanda.
\n<\/strong>Tu sei da sempre giornalista di agenzia: hanno ancora un ruolo di garanzia della qualit\u00e0 dell\u2019informazione?<\/em><\/p>\n

Risposta<\/strong>.
\nUna generazione di giornalisti fa, la mia, gli appunti si prendevano sul taccuino e le notizie si scrivevano con la macchina per scrivere.<\/p>\n

Nei trent\u2019anni che ho trascorso all\u2019ANSA, l\u2019evoluzione dei mezzi e dei vettori con cui le notizie vengono prodotte e trasmesse \u00e8 stata impressionante; e anche le modalit\u00e0 di confezione delle notizie e i loro destinatari sono cambiati in modo impressionante.<\/p>\n

Ma i criteri di qualit\u00e0 del prodotto di base delle agenzie, le notizie, sono sostanzialmente rimasti inalterati: la tempestivit\u00e0; l\u2019affidabilit\u00e0; la completezza; e la fruibilit\u00e0, cio\u00e8 la possibilit\u00e0 di essere utilizzate, se possibile tal quali, da media diversi, quotidiani, periodici, radio, tv, siti, e da clienti non media.<\/p>\n

Oggi, le notizie sono scritte con i pc \u2013viene quasi la tentazione di dire \u201cdai pc\u201d-, sono diffuse via satellite e sono (quasi) totalmente \u2018delocalizzate\u2019: non ha importanza, cio\u00e8, dove il fatto avvenga e dove sia chi lo scrive. E tutto va molto, ma molto pi\u00f9 veloce.<\/p>\n

Quando entrai all\u2019ANSA, il tempo minimo che ci voleva perch\u00e9 una notizia davvero urgente andasse in rete, cio\u00e8 dal momento che il giornalista ne veniva a conoscenza al momento in cui\u00a0 gli utenti la ricevevano, era di parecchi minuti, se proprio tutto andava bene e se la notizia era un \u2018flash\u2019, specie allora rarissima. Oggi, se la tecnologia non s\u2019inceppa, e se l\u2019errore umano non ci mette lo zampino, il lasso di tempo \u00e8 di pochi secondi (e i flash si sono moltiplicati, non perch\u00e9 le notizie importanti siano di pi\u00f9, ma perch\u00e9 la percezione delle notizie \u00e8 divenuta pi\u00f9 frenetica).<\/p>\n

Allora, ci voleva un minuto perch\u00e9 le telescriventi – altro oggetto, come le macchine per scrivere, ormai d\u2019antiquariato giornalistico – battessero una notizia non lunga, una ventina di righe, e almeno tre minuti perch\u00e9 battessero un servizio lungo – infatti, li si divideva in takes di 24 righe al massimo, cos\u00ec che non paralizzassero troppo a lungo le trasmissioni -; oggi, in un minuto di ricezione si possono addensare dieci e pi\u00f9 notizie.<\/p>\n

Inoltre, le agenzie hanno trovato una molteplicit\u00e0 di vettori di trasmissione e di sbocchi d\u2019utenza: da media \u2018mediato\u2019, cio\u00e8 destinato esclusivamente ad altri media e, quindi, da prodotto destinato a subire un\u2019inevitabile ulteriore mediazione giornalistica, sono diventate strumento destinato anche a una fruizione diretta da parte del singolo utente, specie su internet -il sito ansa.it \u00e8 oggi il terzo pi\u00f9 visitato d\u2019Italia e ha circa 80 milioni di contatti al mese- e con i loro notiziari in voce e in video.<\/p>\n

Se una volta l\u2019ambizione era di dare \u201ctutte le notizie\u201d, oggi l\u2019impegno \u00e8 quello di scegliere e certificare, nell\u2019universo in espansione delle notizie disponibili, quelle davvero utili e rilevanti.<\/p>\n

Se una volta \u201ci clienti\u201d erano solo i media, cio\u00e8 altri giornalisti, o le istituzioni, oggi gli utilizzatori sono pure le aziende o i singoli. Le agenzie devono fornire loro bussole per orientarsi nel flusso caotico e continuo di notizie e informazioni: i notiziari non vanno prosciugati di notizie, ma vanno ordinati e incanalati, con una consapevole riappropriazione della responsabilit\u00e0, della volont\u00e0 e della capacit\u00e0 di selezionare quel che conta ed \u00e8 importante.<\/p>\n

Sul piano delle quantit\u00e0, le Agenzie devono essere filtro e calmiere contro il rumore di fondo assordante della massa d\u2019informazione disponibile. Sul piano della qualit\u00e0, si tratta di evitare di subire, senza esserne partecipi, la canea dell\u2019informazione urlata e di avere la capacit\u00e0 di contribuire, con la bont\u00e0 e l\u2019efficacia delle scelte, alle valutazioni di utenti e clienti, oltre che di agire come frangiflutti contro la mala-informazione.<\/p>\n

Nel momento in cui, infatti, la quantit\u00e0 d\u2019informazione disponibile, sui siti e sui blog di internet, nella comunicazione istituzionale e aziendale, oltre che sui media, \u00e8 enorme e impossibile da gestire, il compito di un\u2019agenzia di stampa non \u00e8 quello di tentare di riprodurne l\u2019integralit\u00e0, il che sarebbe inutile, ma di rispecchiarne le diversit\u00e0 e, soprattutto, d\u2019individuarne l\u2019essenziale, l\u2019importante e l\u2019emergente, per proporlo ai suoi utenti con prontezza e duttilit\u00e0, conservando, inoltre, la capacit\u00e0 di cambiare gioco in ogni momento.<\/p>\n

Domanda.
\n<\/span><\/strong>Cambia il ruolo dell\u2019agenzia in un mondo in cui assume sempre pi\u00f9 importanza il ruolo dell\u2019informazione non mediata, quale blog e siti Internet di varia natura?<\/em><\/p>\n

Risposta<\/strong>.
\nUn\u2019informazione sempre pi\u00f9 \u2018fai-da-te\u2019 e sempre meno \u2018mediata\u2019 da figure professionali, come editori e giornalisti?, oppure un\u2019informazione dove la disponibilit\u00e0 online di \u2018troppi\u2019 documenti rafforza l\u2019esigenza di selezione?<\/p>\n

Un\u2019informazione sempre pi\u00f9 gratuita, perch\u00e9 nessuno \u00e8 pi\u00f9 disposto a pagarla?, oppure un\u2019informazione dove l\u2019accesso \u00e8 libero a spazzatura e pettegolezzi, ma dove la qualit\u00e0, la tempestivit\u00e0, l\u2019accuratezza, la completezza, l\u2019affidabilit\u00e0 si pagano bene? Un\u2019informazione, audiovisiva, ma non solo, che rinnega il servizio pubblico?, o che lo riscopre e lo rivaluta nel segno del mix tra autorevolezza \/ indipendenza della formula Bbc?<\/p>\n

Sono alcuni degli interrogativi di fondo sul futuro dell\u2019informazione e dei media: domande senza risposte certe da parte mia e forse senza risposte certe \u2018tout court\u2019. Del resto, i segnali che cogliamo nel presente sono incerti e spesso contraddittori.<\/p>\n

Due esempi di incertezza e contraddizione. Il primo: l\u2019informazione diffusa, affidata a blog e\/o \u2018citizen journalist\u2019, \u00e8 spesso vantata come pi\u00f9 libera e democratica di quella tradizionalmente affidata a media e giornalisti; eppure, essa va sviluppandosi in una societ\u00e0 in cui il \u2018digital divide\u2019, cio\u00e8 lo spartiacque tecnologico, non solo fra generazioni, ma anche fra ceti e fra Paesi, \u00e8 ancora fortissimo e minaccia di allargarsi.<\/p>\n

Il secondo: la gratuit\u00e0 dell\u2019informazione \u00e8 stata finora un mantra dell\u2019online, con poche eccezioni, ma recentemente c\u2019\u00e8 stata un\u2019inversione di tendenza netta, che i puristi del web contestano e contrastano con grande forza, affermando che chi imbocca la nuova via va alla perdizione certa.<\/p>\n

Dalla prassi dell\u2019accesso libero, s\u2019\u00e8 passati alla scelta dell\u2019accesso a pagamento, offrendo in pegno al visitatore una garanzia di qualit\u00e0. A guidare il cambio di passo, che va, per\u00f2, avanti fra esitazioni e incertezze, \u00e8 stato Rupert Murdoch: il proprietario e uomo forte della News Corp ha infatti annunciato l\u2019estate scorsa che tutti i siti web dei suoi media faranno pagare agli utilizzatori l\u2019accesso nel giro di un anno.<\/p>\n

Domanda<\/strong>
\nGiornali di carta e giornalisti sembrano condannati da una crisi che sembra non avere fine. Cosa ne pensi della situazione attuale?<\/em><\/p>\n

Risposta.
\n<\/strong>Qualche punto fermo, in questo panorama di incertezza e contraddizione, c\u2019\u00e8, ma riguarda l\u2019analisi del presente, non la visione del futuro: in tutto il Mondo, i media tradizionali sono sotto attacco; e, in Italia, entro il 2010, un\u2019intera generazione di giornalisti, i sessantenni del \u2018baby boom\u2019 seguito alla Seconda Guerra Mondiale, saranno \u2018espulsi\u2019 dalle redazioni, in un processo di riorganizzazione traumatico, dove riduzioni dei costi e ringiovanimento dei ranghi non significano automaticamente e subito migliore efficienza e maggiore qualit\u00e0.<\/p>\n

Pochi dati per suffragare la crisi mondiale dei media tradizionali. Le vendite dei quotidiani in Usa continuano a calare e a ritmo accelerato, indica un rapporto dell’organizzazione no-profit Audit Bureau of Circulation, che censisce la diffusione dei giornali a pagamento. Le vendite sono scese del 10,6% tra aprile e settembre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre nel semestre precedente il calo era stato del 7,5% .<\/p>\n

L’unico quotidiano a crescere nella ‘top 25′ dei pi\u00f9 venduti (e appena dello 0,6%) \u00e8 il Wall Street Journal, che \u00e8 diventato il pi\u00f9 diffuso degli Stati Uniti, superando l’ex numero uno Usa Today, la cui diffusione \u00e8 calata di circa 400 mila copie al giorno, quasi un quinto del totale. Il New York Times’, pur rimanendo al terzo posto, scende sotto il milione di copie al giorno, con un meno 7,3%.<\/p>\n

Fra le cause del crollo della diffusione, la migrazione dei lettori sul web, la crisi, la diminuzione delle copie diffuse gratuitamente (per esempio sugli aerei e negli alberghi), oltre al peggioramento della qualit\u00e0 innescato dai tagli di bilancio.<\/p>\n

E, infatti, nella classifica dei primi trenta siti di informazione statunitensi, l\u2019Huffington Post, il blog aggregatore di notizie di Arianna Huffington, ha superato il sito del Washington Post, stando ai dati di settembre dalla societ\u00e0 di valutazione Nielsen Online diffusi da Editor & Publisher. In un anno, l’Huffington Post \u00e8 cresciuto del 26%, raggiungendo in settembre 9,4 milioni di utenti unici, mentre il Washington Post \u00e8 sceso del 29%, a 9,2 milioni. Nello stesso periodo, fra i siti d\u2019informazione collegati a grandi media tradizionali, quello del NYT \u00e8 cresciuto del 7%, arrivando a 21,5 milioni di utenti unici. E meglio hanno fatto, in percentuale, il Daily News (+54%) e il Guardian (+ 51%). Ma il record di crescita, con un +373%, spetta a un sito non collegato a un media tradizionale, Examiner, 22.0 in assoluto. Queste cifre vanno per\u00f2 prese con prudenza: la Nielsen Online ha ampliato di otto volte il suo panel, alterando il confronto anno su anno.<\/p>\n

Domanda<\/strong>
\nChe cosa sta realmente cambiando nel modo di fare informazione?<\/em><\/p>\n

Risposta
\n<\/strong>Il 16 aprile 2007, massacro alla Virginia Tech University, \u00e8 una data nelle cronache delle stragi nei campus Usa, non la prima, neppure l\u2019ultima. E\u2019 uno di quei giorni di straordinaria follia in cui la violenza, e magari la paranoia, prevalgono sull\u2019umanit\u00e0. Ma \u00e8 pure un giorno che rester\u00e0 nella storia dell\u2019informazione: le prime immagini di quanto avviene nell\u2019ateneo sotto assedio non le d\u00e0 la Cnn, o una tv locale, ma vengono affisse sul web da un videofonino, mentre l\u2019enciclopedia online Wikipedia tiene botta con le agenzie di stampa internazionali nell\u2019aggiornare l\u2019informazione sulla vicenda, che diventa subito una voce in evoluzione del suo lessico universale.<\/p>\n

La tragedia della Virginia Tech, che mette sotto shock l\u2019America, evocando i fantasmi ormai ricorrenti della strage alla Colombine High School, segna un\u2019affermazione dei new media. La Cnn li cavalca, stando, ancora una volta, una spanna davanti ai suoi concorrenti e mandando in onda per prima fra le tv \u2018all news\u2019 Usa, le immagini della sparatoria raccolte via web: 41 secondi che finiscono nella sezione I-Report dell\u2019emittente di Atlanta, aperta ai contributi in immagini dei \u2018citizen journalists\u2019. A inviarlo alla Cnn, \u00e8 uno studente, Jamal Albarghouti, che vede e filma agenti sparare davanti a una palazzina neogotica e, quindi, farvi irruzione.<\/p>\n

Anche la stampa locale si affida ai reporter diffusi per raccontare la storia: il Roanoke Times, il giornale che ha la sede pi\u00f9 vicina all\u2019ateneo, invia, certo, sul posto una squadra di cronisti, video-cronisti e fotografi, ma trasforma il racconto momento per momento sull\u2019edizione online in un vero e proprio blog aperto ai racconti, alle testimonianze, agli interventi degli studenti.<\/p>\n

Un esempio, il primo forse su scala cos\u00ec vasta e con un impatto emotivo forte e globale, di come i media tradizionali possono utilizzare i new media e vedere in essi non dei concorrenti, ma degli alleati per sopravvivere alla crisi del settore dell\u2019informazione.<\/p>\n

Domanda<\/strong>
\nPerci\u00f2 la catena dell\u2019informazione cambia. Nuove alleanze al posto di vecchi antagonismi?<\/em>
\n<\/strong>
\n<\/strong>Risposta<\/strong>
\nSulla carta, l\u2019informazione di base prodotta da un\u2019agenzia, destinata ancora principalmente alle altre testate giornalistiche italiane, e l\u2019informazione dei blog e dei siti di giornalismo civico sono ai due estremi della catena informativa: noi stiamo, o meglio stavamo, al di sotto della soglia di visibilit\u00e0 della notizia per il grande pubblico; i blog e il giornalismo diffuso sono l\u2019agor\u00e0 dove si discute la notizia di pubblico dominio e dove ciascuno dice la sua, senza che nessuno gli chieda se ha la tessera da giornalista.<\/p>\n

Ma la catena dell\u2019informazione, a cavallo tra Secondo e Terzo Millennio, \u00e8 in evoluzione: i blog, che intrecciano alle opinioni le notizie, diventano fonte; e le agenzie, grazie al web, raggiungono l\u2019utente finale, il cittadino lettore. Un fatto, un dato, una dichiarazione, appena entra nella rete, diventa immediatamente di tutti, universale, e perde rapidamente la riconoscibilit\u00e0 dell\u2019origine: uno sberleffo al copyright e alla propriet\u00e0 intellettuale.<\/p>\n

Nella forma, le differenze sussistono (o, almeno, dovrebbero sussistere). Il giornalismo dell\u2019ANSA, sinonimo in Italia di informazione di base, fatto di notizie \u2018schiette\u2019, con pochi aggettivi qualitativi e zero commenti personali, \u00e8 un po\u2019 l\u2019antitesi dello stile dei siti della blogosfera e del cosiddetto giornalismo civico, alimentati dai contributi che vengono da privati cittadini disposti a intervenire, interagire, discutere, criticare, contestare, rilanciare. Contributi che non sono professionalmente \u2018certificati\u2019, ma che possono rivelarsi complementari all\u2019informazione tradizionale, o addirittura, sostituirla quando latita.<\/p>\n

Negli Stati Uniti, ad esempio, i blog sono considerati dai media tradizionali una fonte, persino autorevole in alcuni casi, seppure da vagliare con prudenza; soprattutto, i blog sono visti come portatori d\u2019intuizioni sull\u2019impatto e la portata di una notizia, su riferimenti e coinvolgimenti, giocando sovente d\u2019anticipo sugli stessi giornalisti.<\/p>\n

Un discorso diverso sono i casi, rari, ma, proprio come nel caso della Virginia Tech, preziosissimi, in cui il blogger \u00e8 testimone diretto di un evento eccezionale: il 3 agosto, ancora la Cnn, e stavolta pure la Fox, che nel frattempo aveva imparato la lezione, hanno largamente utilizzato contributi e testimonianze inviati e raccolte con videofonini del crollo del ponte di Minneapolis sul Mississippi. Sia l\u2019I-Report della Cnn che l\u2019analogo U-Report della Fox si basano sulla formula \u2018voi proponete, noi decidiamo\u2019: nessuna messa in rete diretta e indiscriminata, dunque, ma solo materiale vagliato nell\u2019interesse e, in qualche modo, verificato nell\u2019autenticit\u00e0, giocando anche sul fatto che eventi come la strage all\u2019Universit\u00e0 o il crollo del ponte fanno segnare impennate negli invii.<\/p>\n

A livello internazionale grandi agenzie come l\u2019Associated Press hanno da tempo stretto alleanze con i blog o i siti di giornalismo partecipativo pi\u00f9 affidabili. In Italia questo \u00e8 avvenuto soprattutto per i quotidiani: la Repubblica e il Sole 24 Ore sono i due casi sicuramente di maggior rilievo: Repubblica.it \u00e8 stato affiancato da blog gestiti dai suoi redattori; mentre Sole24Ore.com ha dato vita all\u2019iniziativa Nova 100, per ospitare un centinaio di blog gestiti da altrettanti personaggi italiani di spicco in vari settori. E proprio il giornale economico, nell\u2019ottobre 2006, \u00e8 divenuto
\nil primo in Italia ad accreditare, sia pure come freelance, un blogger, Massimo Mantellini, a seguire un evento internet internazionale, il \u2018Web 2.0 Summit\u2019 di San Francisco.<\/p>\n

Un quotidiano online parte, per\u00f2, avvantaggiato nell\u2019interazione con il mondo del Web 2.0 rispetto a una agenzia di stampa, che, ad esempio, non pu\u00f2 contare su una tradizione consolidata di rubriche
\nper i lettori, come le \u2018Lettere al direttore\u2019, per citarne una, facilmente traducibili in un\u2019analoga esperienza interattiva online. Un lettore di quotidiano, sia stampato che informatizzato, ha inoltre l\u2019abitudine di identificare il giornalista che scrive l\u2019articolo e che si firma con nome e cognome, ultimamente integrato anche dall\u2019indirizzo e-mail: facile, dunque, fare il passo dell\u2019interazione.<\/p>\n

Affiancare l\u2019informazione d\u2019agenzia tendenzialmente \u201cimpersonale\u201d a quella per sua natura \u201cpersonalizzata\u201d della blogosfera e del Citizen Journalism, far incontrare questi due mondi,
\n\u00e8 difficile, ma non impossibile. Per un organo di stampa serio che vuole restare tale, il problema dell\u2019utilizzo dei blog e dei contenuti generati dagli \u201cutenti fonti\u201d \u00e8 soprattutto l\u2019affidabilit\u00e0. Non
\nsi pu\u00f2 infatti attribuire a priori a un blogger o a un \u201ccittadino giornalista\u201d la stessa capacit\u00e0 e precisione di un giornalista professionista nell\u2019accertare la veridicit\u00e0 di un\u2019informazione e
\nnel \u2018validarla\u2019, se necessario, attraverso un incrocio di fonti e di dati. Senza volere, ovviamente, escludere che il blogger possa avere di suo tali qualit\u00e0, proponendosi cos\u00ec come fonte attendibile.<\/p>\n

Il problema \u00e8 quello della \u2018certificazione\u2019: uno slogan dell\u2019ANSA dice, con tutta l\u2019ovvia roboanza della comunicazione pubblicitaria, che \u201cse \u00e8 una notizia \u00e8 ANSA\u201d; il che significa in sostanza che, se un\u2019informazione non \u00e8 stata data dall\u2019ANSA, non \u00e8 vera o non merita di essere data. E\u2019 pretesa oggi eccessiva; ma non \u00e8 eccessivo che ogni agenzia, ogni media garantiscano l\u2019affidabilit\u00e0 delle loro notizie.<\/p>\n

Domanda<\/strong>
\nLe ricette a stelle e strisce, a noi italiani, ci hanno sempre appassionato. Cosa succede ai giornali negli USA?<\/em>
\n<\/strong>
\n<\/strong><\/strong>Risposta<\/strong>
\nSono decine i quotidiani statunitensi che hanno chiuso nell\u2019ultimo anno e migliaia i giornalisti \u2018tagliati\u2019 \u2013il NYT ha appena annunciato la riduzione di altri cento-. Si spiega cos\u00ec perch\u00e9, da marzo, \u00e8 davanti al Congresso una proposta di legge, il Newspaper Revitalization Act, presentata dai democratici Carolyn B. Maloney, deputata di New York, e Benjamin L. Cardin, senatore del Maryland, con l\u2019obiettivo di aiutare i giornali locali facendoli diventare delle organizzazioni non profit, simili alle stazioni radio e televisive pubbliche.
\n\u201cSe non si far\u00e0 qualcosa presto molte aree metropolitane non avranno pi\u00f9 il proprio giornale con grave danno per la democrazia\u201d. Studi recenti hanno infatti dimostrato che, in assenza di quotidiani che assolvano alla loro funzione di \u2018cani da guardia\u2019, nelle citt\u00e0 aumentano la corruzione nella gestione della cosa pubblica e il disinteresse del cittadino medio.<\/p>\n

A fine settembre per la prima volta anche il presidente Barack Obama, che finora aveva escluso la possibilit\u00e0 di aiuti governativi alla stampa, si \u00e8 detto disponibile a studiare proposte di legge che prevedano un aiuto economico per quei quotidiani che si strutturino come fondazioni senza fini di lucro. In cambio la proposta di legge prevede che i giornali non possano fare endorsement politici, cio\u00e8 schierarsi apertamente a favore di un partito, mantenendo per\u00f2 ovviamente la libert\u00e0 di scrivere su qualsiasi tema e di seguire le campagne elettorali.<\/p>\n

C\u2019\u00e8 stato, invece, l\u2019endorsement del mondo accademico: una ricerca voluta dal rettore della scuola di giornalismo della Columbia University, un documento di 36 pagine intitolata \u2018The Reconstruction of American Journalismo\u2019 e redatto da un docente dello stesso Ateneo, Michael Schudson, e da Leonard Downie jr. Il primo \u00e8 un sociologo che da circa trent\u2019anni si occupa di storia del giornalismo e di cultura pubblica. Il secondo \u00e8 un grande nome del giornalismo americano, legato da quasi vent\u2019anni al Washington Post.<\/p>\n

La ricerca della Columbia, cui ha dato molto rilievo Massimo Gaggi in una corrispondenza da New York per il Corriere della Sera, sposa la tesi dei sussidi ai giornali, ma, come il Newspaper Revitalization Act, non fa certo l\u2019unanimit\u00e0 e solleva molte critiche da parte dei conservatori.<\/p>\n

I due firmatari democratici speravano in una convergenza bipartisan sul provvedimento. Ma i repubblicani si sono tirati indietro: a loro interessano poco i giornali locali e molto di pi\u00f9 i milioni di persone che seguono con passione Fox, la tiv\u00f9 di Murdoch apertamente schierata a destra, oppure il commentatore radiofonico Rush Limbaugh che ogni giorno vomita accuse e insulti sul presidente Obama.<\/p>\n

Quando il Wall Street Journal e i maggiori giornali Usa studiano le strategie per internet con pi\u00f9 impegno di quelle per le edizioni cartacee; quando le agenzie non bollano pi\u00f9 come anatema la diffusione su internet, ma la considerano uno strumento di penetrazione dei mercati; allora il mondo del giornalismo sta davvero cambiando, anzi \u00e8 gi\u00e0 cambiato, forse senza che i giornalisti che ci stanno dentro se ne siano tutti accorti, almeno fino alla fase d\u2019epurazione in atto. In Italia, la percezione della necessit\u00e0 del cambiamento \u00e8 stata minore che altrove: da noi, caso senza simili in tutti i Paesi pi\u00f9 sviluppati, sussiste, ad esempio, una pluralit\u00e0 di agenzie di stampa che non significa pluralit\u00e0 d\u2019informazione, o specializzazione settoriale, ma semplicemente ridondanza e diseconomia.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Che cosa succede al mondo della carta stampata? Perch\u00e9 i giornali vendono sempre di meno, almeno nella forma cartacea? E le agenzie di notizie, mantengono o no il ruolo di garanzia della qualit\u00e0 dell\u2019informazione in un mondo in cui siti Internet di varia natura e blog assurgono al rango di fonte autorevole? 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