{"id":13545,"date":"2013-12-04T00:00:00","date_gmt":"2013-12-03T23:00:00","guid":{"rendered":"https:\/\/www.tibicon.net\/2013\/12\/si-puo-convincere-il-capo-ad-accettare-lerrore\/"},"modified":"2019-01-22T07:56:00","modified_gmt":"2019-01-22T06:56:00","slug":"si-puo-convincere-il-capo-ad-accettare-lerrore","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.tibicon.net\/2013\/12\/si-puo-convincere-il-capo-ad-accettare-lerrore\/","title":{"rendered":"Si pu\u00f2 convincere il capo ad accettare l'errore (di lui...)?"},"content":{"rendered":"

\"giru<\/p>\n

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Come avranno certamente i lettori assidui di questo blog, considero la resistenza dei capi ad accettare un feedback uno dei fattori che maggiormente limita la crescita e la competitivit\u00e0 delle imprese (trascuro la politica, per ora, una cosa per volta\u2026).<\/p>\n

Esagero? No, non proprio. E se vuoi una prova convincente circa quanto affermo rileggi per favore l’articolo sulla mitigazione del feedback<\/a> fornito al capo; s\u00ec, proprio quello degli incidenti aerei.<\/p>\n

Prova ora a pensare agli effetti che la mitigazione del feedback pu\u00f2 avere su un’organizzazione, nel senso pi\u00f9 generale del termine: la resistenza o l’incapacit\u00e0 di un capo di rendersi conto del fatto che sta commettendo un errore o a dare un nuovo indirizzo alla sua azione pu\u00f2 avere, e purtroppo spesso ha, effetti devastanti.<\/p>\n

La domanda da 1 milione di euro \u00e8: \u00e8 possibile contribuire a formare una classe dirigente capace di accettare il feedback, anche dal basso, valorizzandolo come un elemento decisivo nella propria crescita professionale e nel raggiungimento degli obiettivi fissati?<\/p>\n

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Credo che a prevalere sia lo scetticismo anche fra chi, come me, vorrebbe tanto sostenere il contrario: se non altro per ragioni di vantaggio personale\u2026<\/p>\n

Ma quella che sto per raccontarti \u00e8 una vicenda che ha seguito molto da vicino e che ha contribuito in modo decisivo alla formazione di una mia ferma convinzione: formare dei capi all’accettazione del feedback, anche quando diretto alla loro persona o alle loro azioni, si pu\u00f2.<\/p>\n

Non ci credi? Leggi la storia; poi, se vuoi, discutiamone.<\/p>\n

Come al solito non potrai riconoscere n\u00e9 le persone n\u00e9 l’azienda, ragione per la quale ti converr\u00e0 concentrati sulla vicenda.<\/p>\n

Ludovico \u00e8 un professionista che lavora da una ventina d\u2019anni come consulente nell’ambito delle risorse umane.<\/p>\n

Alcuni anni fa egli era stato ingaggiato da un giovane direttore del personale, che chiameremo Giovanni, per progettare la cosiddetta “gestione integrata delle risorse umane”, l’insieme di attivit\u00e0, processi e strumenti indispensabile per garantire all’impresa la disponibilit\u00e0 di competenze vitali per la propria competitivit\u00e0 sul mercato (vedi la figura).<\/p>\n

Giovanni era stato da poco nominato direttore ed era perfettamente consapevole che l’azienda per la quale lavorava aveva una gestione del personale improntata alla discrezionalit\u00e0 dei capi e alla capacit\u00e0 del singolo di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Inoltre, tutte le volte che si veniva a creare una posizione interessante si faceva ricorso a personale esterno: insomma, una gestione estremamente costosa che potremmo definire ndo cojo cojo<\/a>.<\/p>\n

L’idea di Giovanni era quella di progettare un sistema di gestione tagliato su misura, che prevedesse l’analisi del fabbisogno di competenze, la definizione e classificazione dei ruoli, la definizione di obiettivi, la valutazione almeno annuale delle prestazioni, un sistema di benchmarking retributivo che regolasse i salari: il tutto in un contesto orientato a creare le condizioni affinch\u00e9 le opportunit\u00e0 professionali fossero prioritariamente offerte a personale dipendente, cercando all’esterno le competenze necessarie solo quando indispensabile.<\/p>\n

Ludovico accett\u00f2 con entusiasmo la proposta: non aveva mai avuto in precedenza un incarico simile ma aveva le idee piuttosto chiare su come impostare il lavoro.<\/p>\n

Dopo circa sei mesi di lavoro insieme Giovanni e Ludovico erano arrivati alla definizione degli strumenti necessari alla gestione e, soprattutto, avevano progettato il modello per la valutazione delle prestazioni: ora si trattava “soltanto” di creare le condizioni affinch\u00e9 l’organizzazione lo usasse con disinvoltura, inserendolo compiutamente nei processi aziendali.<\/p>\n

A questo proposito, Giovanni decise di coinvolgere in una prima fase i manager di livello intermedio (un centinaio di persone in tutto), secondo lui in grado di generare il cambiamento culturale desiderato, e solo successivamente il top management; questi ultimi osservavano quanto accadeva con distaccato scetticismo.<\/p>\n

Giovanni chiese a Ludovico di progettare un corso di formazione, con lo scopo di aiutare i capi ad affrontare con successo il colloquio di valutazione delle prestazioni e comunque di sostenere il lavoro di tutti i giorni attraverso la gestione sistematica del feedback verso i collaboratori.<\/p>\n

La prima edizione del corso, quella di test, fu un successo: le persone erano entusiaste e avevano mostrato grande interesse verso l\u2019apprendimento di tecniche di somministrazione del feedback che non sentivano di padroneggiare adeguatamente: insomma, imparare a usare in modo sistematico e senza troppi errori la lode e il cazziatone li stimolava moltissimo.<\/p>\n

Fu questo risultato che spinse Ludovico a proporre a Giovanni qualcosa di poco usuale.<\/p>\n

Ludovico era da sempre convinto che per aiutare le persone a fare un salto di qualit\u00e0 nella gestione sarebbe stato necessario convincerle della necessit\u00e0 non solo di apprendere le tecniche di somministrazione di un feedback ma anche di stimolare il feedback da colleghi e collaboratori, sia in merito al proprio operato sia in merito alle scelte operate (ovviamente nel rispetto delle responsabilit\u00e0 di ciascuno), aumentando in questo modo la probabilit\u00e0 di riconoscere gli errori, imparare e riorientare coerentemente l\u2019azione.<\/p>\n

Che cosa sarebbe successo se egli, durante il corso, avesse presentato il feedback non solo come strumento per migliorare le prestazioni dei collaboratori e fare meglio il mestiere del capo ma anche come opportunit\u00e0 di crescita professionale? Come avrebbero reagito i partecipanti di fronte alla possibilit\u00e0 di un cambiamento di prospettiva, che avrebbe potuto significare il sentirsi messi in discussione?<\/p>\n

Perch\u00e9, diciamocelo francamente, una cosa \u00e8 fare il capo che pu\u00f2 liberamente cazziare e lodare e altra \u00e8 accettare che un collaboratore sappia di poter esprimere il proprio parere mettendo in discussione il comportamento del capo o una sua opinione: in fondo un capo \u00e8 un capo, e se viene messo in discussione che capo \u00e8?<\/p>\n

Ludovico propose a Giovanni di inserire nel corso di formazione il cambiamento di prospettiva: il feedback fu presentato come strumento essenziale per migliorare le prestazioni di tutta l\u2019organizzazione, uno strumento del quale il capo non avrebbe potuto fare a meno, anche e soprattutto nel caso in cui fosse stato rivolto verso il suo operato.<\/p>\n

Giovanni cerc\u00f2 di capire i rischi dell\u2019iniziativa volle valutare il rischio e pose la condizione che non venisse meno lo scopo iniziale: dopo 24 ore di riflessione, fiducioso nella competenza di Ludovico, diede il via libera.<\/p>\n

Al termine dei corsi di formazione programmati i risultati furono sorprendenti:<\/p>\n