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Labirinti aziendali

19 Giugno 2014 | di Paola Cinti (S)management delle Risorse Umane

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Oggi è un giorno un po’ speciale, perché ho l’opportunità di pubblicare un “guest post” di Paola Cinti…

… professionista che seguo con interesse e che ha accettato di scrivere su un tema in linea con i contenuti di questo blog: sono certo che Paola, dopo aver catturato la mia attenzione, si impossesserà anche della tua. Se vuoi sapere di più sul suo conto vai in fondo alla pagina. Ora il post: buona lettura!

 

Come definiresti un labirinto?

Wikipedia lo definisce così: Il labirinto è una struttura, solitamente di vaste dimensioni, costruita in modo tale che risulti difficile per chi vi entra trovare l’uscita.”

Sorvolando sul fatto che oggi le organizzazioni sono luoghi da cui è fin troppo facile uscire, lavorativamente parlando, l’accostamento tra il labirinto e l’azienda m’interessa come rappresentazione di uno specifico vissuto di rapporto tra un essere umano, una serie di particolari dinamiche e le possibili implicazioni che ne conseguono.

Ho scelto il labirinto perché è una di quelle immagini – realizzate fisicamente, rappresentate e rese metafora – che accompagna la storia dell’uomo da diversi millenni.

La richiesta di un mio articolo da parte di Arduino e le tematiche che vengono trattate in questo blog, hanno inevitabilmente ispirato questo contributo.

Ma entriamo nel vivo della questione e vediamo in cosa è riconoscibile un labirinto aziendale e quali caratteristiche lo rendono tale:

  • partendo dall’inizio, la prima ingannevole evidenza è che in un labirinto l’entrata è in tutto simile all’uscita, il che spesso si traduce in lunghi e tortuosi itinerari che, invece di condurvi alla fine del vostro percorso, rischiano di farvi ritrovare al punto di partenza. La sua struttura, infatti, è volutamente progettata per indurre nei suoi avventori, confusione e conseguente perdita di un filo del pensiero, soprattutto in caso di protratta permanenza;
  • una volta entrati, l’impressione che ci coglie sin dal primo momento è che decidere di andare a destra o a sinistra sembra non fare alcuna differenza. Le scelte non hanno un senso, al massimo sono significanti in relazione all’obiettivo. Il fine è l’unica cosa che conta, il come no;
  • di fronte ad un ostacolo (muro) non è previsto e neanche richiesto, che lo affrontiate, la prassi è quella di aggirarlo. Se vi viene la tentazione di abbattere i muri, sappiate che al labirinto non piace essere distrutto e che le “regole del gioco non sono queste”;
  • in un labirinto avrete sempre la netta sensazione di essere soli, la sfida è tra voi e lui. Si registrano comunque due tipi di indigeni: quelli che infelicemente vagano persi tra i suoi meandri da troppo tempo per ricordarsi perché sono lì e quelli che sono diventati consapevoli adepti di una nuova religione fatta di riti partecipatori;
  • tra gli effetti negativi proporzionali al tempo vissuto in un labirinto c’è che, per quanta strada facciate, il vostro non sarà mai un viaggio. Le direzioni che sceglierete, le svolte, gli insuccessi e i successi non si riescono a ricordare e vi capiterà spesso di chiedervi: “questa scena mi sembra di averla già vista”, senza però averne mai certezza;
  • per uscire potrete sempre scegliere la strada della razionalità pura e affrontare l’enigma materiale usando le sue stesse armi: logica e calcolo. Probabilmente troverete l’uscita, ma il prezzo che avrete pagato sarà quello di essere diventati come lui, che se la riderà di gusto sapendo che quella che prima era una realtà esterna da affrontare, ora vive in voi e attraverso di voi. E’ così che il labirinto cresce.

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Un’immagine più di ogni altra mi ricorda gli esiti nefasti di un labirinto: la scena finale di Shining (vedi qui sopra).

Il protagonista conclude, in un intrigato circuito innevato, la sua storia di lenta perdita della sanità mentale. Il labirinto diviene così la rappresentazione dei circuiti razionali del pensiero, sempre e inesorabilmente uguali a se stessi, ed il protagonista è rimasto solo, in un panorama bianco che ci ricorda la freddezza come risultato della perdita totale di affetti e di rapporto interumano.

A questo punto un domanda è doverosa. Com’è possibile farcela?

  • la prima chiarezza riguarda l’entrata e l’uscita: non sono la stessa cosa e l’unico modo per dimostrarlo è trovare un proprio percorso di cambiamento, indipendente dalla realtà esterna;
  • scegliere una strada piuttosto che un’altra non può e non deve essere la stessa cosa, se fosse così non esisterebbe la diversità e l’uomo si sarebbe “casualmente” estinto da un pezzo;
  • affrontare gli ostacoli invece di aggirarli è da sempre il metodo per sviluppare in modo evolutivo la propria identità personale;
  • anche se siete soli in questa sfida, farcela sarà una splendida realizzazione (proprio perché difficile) e sarà anche il più bel messaggio che lascerete a chi lo affronterà dopo di voi;
  • non sono il numero dei passi che farete nel labirinto a segnare il vostro viaggio, ma la resistenza, la vitalità, la fantasia e l’intelligenza che vi permetteranno di vincere la sfida;
  • in qualsiasi labirinto il vostro reale patrimonio in pericolo non è la libertà fisica, ma quel mondo di affetti e relazioni che vi permettono di sconfiggerlo, essendo liberi persino dentro di esso.

Per concludere una citazione che è anche un monito per quei momenti in cui potremmo non accorgerci di essere in un labirinto, presi come siamo dai mille rivoli della nostra impegnativa vita.

Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo. (Johann Wolfgang Goethe)

 

Paola

Paola Cinti si occupa di comunicazione e social networking: fai clic qui per il suo profilo su LinkedIn.

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Commenti
Roberto Rizzardi 24 Giugno 2014 0:00

Una riflessione molto ben articolata e propositiva quella di Paola, che apprezzo anche perché non nasconde che in tutte le cose è necessario applicare volontà e determinazione.
In altre parole puoi anche affrontare il glaciale labirinto senza doverlo subire. Potrà essere faticoso, ma anche essere subalterni non è una passeggiata, e ne uscirai migliore molto più soddisfatto.

    Paola 24 Giugno 2014 0:00

    Grazie Roberto, infatti uscire fisicamente non vuol dire nulla… l’importante è non essere come il labirinto, poi se ci stai dentro sarà fastidioso ma non è mortale.

roberta 8 Marzo 2015 0:00

Geniale Paola!

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