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Acqua, carbone o nucleare?

26 Ottobre 2009 | di Arduino Mancini Politica, politici, politicanti

La crisi economica ha riacceso il ciclico dibattito sulle fonti energetiche.

Si può produrre in sicurezza a costi competitivi?

Il nucleare è sicuramente il meno costoso dei processi produttivi.

Ma che dire della sicurezza? In Italia esiste è diffusa la convinzione che il nucleare sia di gran lunga il più pericoloso.

Il Paul Scherrer Institute, centro di ricerca svizzero in materia di energia, ha pubblicato in estate una ricerca quantitativa sugli incidenti, dal 1970 al 2005, nelle diverse classi di centrali per la produzione di energia.

Ecco alcuni risultati in sintesi.

Centrali nucleari

  • nessun incidente, né vittime, in centrali nucleari dell’Europa occidentale
  • un incidente a Chernobyl, con 31 vittime (il dato non tiene conto dei morti negli anni successivi)

Centrali a carbone

  • 41 incidenti complessivi, con 942 vittime

Centrali idroelettriche

  • un incidente a Belci in Romania, nel 1991, con 116 vittime
  • un incidente in Italia a Longarone (disastro del Vajont), nel 1963, con oltre 2000 morti
  • 12 incidenti in Cina con 30.007 morti, 26 mila dei quali a Banqiao e Shimantan, dove ci furono i crolli delle dighe.

Le centrali nucleari sono quindi meno pericolose?

Ciò che rende meno pericolose le centrali nucleari sono gli standard di sicurezza, nettamente più severi, ai quali i governi sottopongono tecnologie intrinsecamente più pericolose.

Carbone e acqua non fanno paura quanto l’atomo e la sottovalutazione dei rischi porta inequivocabolmente a un numero elevatissimo di vittime.

Minori controlli per le tecnologie potenzialmente meno pericolose, questa sembra essere la strategia di chi gestisce la produzione di energia.

A capofitto sul nucleare allora?

Le recenti polemiche aperte in Francia dai quotidiani Libération e Le Monde circa le pratiche seguite in Francia nello smaltimento delle scorie nucleari inducono a qualche riflessione.

Un documentario girato dalla tv Arté insieme a un giornalista di Libération mette in luce la Francia avrebbe stoccato il 13 per cento dei rifiuti radioattivi che provengono dalla sua filiera nucleare in un remoto villaggio della Siberia, chiuso alla stampa.

Secondo questa inchiesta, dal 1990 sarebbero stati trasportati in un parcheggio nucleare a cielo aperto 108 tonnellate di uranio provenienti dalle centrali francesi.

I container imbarcati a Le Havre fino a San Pietroburgo, caricati a bordo di un treno per arrivare fino al complesso atomico di Tomsk-7, in Siberia.

In questo impianto l’uranio è sottoposto ad arricchimento, in parte rispedito in Francia e reintrodotto nel processo di produzione di energia.

Il resto, il 90 per cento del materiale che arriva in Siberia, non è riutilizzabile: diventa di proprietà della russa Tenex e rimane stoccato a cielo aperto.

Mentre acqua e carbone sono gestiti con leggerezza, il nucleare sembra essere gestito come una bomba a tempo.

Non c’è molto da stare tranquilli, sembra, in nessun caso.

Almeno fino a quando i governi non avranno deciso che la vita umana rappresenta la priorità.

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