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E se pagassimo meglio gli operai?

6 Giugno 2011 | di Arduino Mancini (S)management delle Risorse Umane

Sentite cosa ne pensa Bertrand Russell.

Tutti coloro che non sono pazzi concordano su certi argomenti: che è meglio essere vivo che morto, meglio essere ben nutrito che affamato, meglio essere libero che schiavo.

Molta gente auspica questi beni soltanto per sé e per i suoi amici, e non ha nulla da obiettare alle sofferenze dei propri nemici. Il loro punto di vista può essere sconfessato dalla scienza: l’umanità è divenuta ormai una famiglia così unita che non possiamo garantire la nostra prosperità se non garantendo quella del nostro prossimo.

Se volete essere felici, dovete rassegnarvi a vedere felici anche gli altri.

Niente da dire, il vecchio Bertrand aveva l’occhio lungo: ma quello che sto per dirvi forse non lo aveva previsto.

Esiste un numero di casi abbastanza elevato di imprese che hanno migliorato la loro competitività e i risultati attraverso una migliore retribuzione e condizioni di lavoro delle fasce più deboli: quelle alla base della scala gerarchica, per intenderci.

Commessi, operai, facchini, tecnici di assistenza e quant’altro vogliate aggiungere.

Quello che la ricerca di competitività mette oggi in crisi è il paradigma che il profitto passi attraverso una retribuzione ai limiti della sussistenza delle fasce a minore contenuto di conoscenza e crescenti livelli di incentivazione ai vertici della scala gerarchica.

Pagare meglio le fasce più deboli e investire nella loro preparazione rappresenta oggi la chiave della nuova competitività per le imprese.

Slogan comunista? Direi piuttosto esigenza capitalista.

 

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