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Ecco un articolo che può influenzare il tuo modo di avvicinarti al lavoro

Quanto tempo serve per diventare un esperto nel proprio lavoro?

Una vivace discussione ha animato il mio articolo dal titolo Conta più il talento o la preparazione?: quasi unanime la conclusione che il talento, senza esercizio e preparazione, difficilmente sia in grado di trovare adeguata espressione.

Cerchiamo ora di capire insieme quanto tempo sia necessario prepararsi, e lo faremo ponendoci un paio di domande.

Che cosa hanno in comune Wolfgang Amadeus Mozart e Bill Gates?

Quale relazione lega i Beatles e un riconosciuto campione di scacchi?

Secondo quanto sostiene Malcom Gladwell nel suo libro Fuoriclasse, tutte le persone che ho citato hanno accumulato, prima di essere universalmente riconosciute come persone al di fuori del comune nel loro lavoro, un tempo di studio e di lavoro non inferiore a 10.000 ore.

Mozart, secondo il critico musicale Harold Schomberg, ha scritto i suoi capolavori quando ormai componeva da più di vent’anni.

Bill Gates accumulò una straordinaria esperienza negli anni che andavano dalla terza media (era il 1968!) alla fine del liceo, periodo in cui riuscì a garantirsi la possibilità di utilizzare gratuitamente il computer di diverse istituzioni: possibilità che altri non erano riusciti o non avevano avuto l’opportunità di procurarsi.

I Beatles vissero un momento decisivo per la loro carriera nel periodo di Amburgo (tra il 1960 e il 1962), quando complessivamente si esibirono per 270 serate suonando non meno di 5 ore per sera, accumulando grande esperienza e affiatamento.

Infine, per diventare un campione di scacchi servono circa 10 anni, più o meno il tempo necessario ad accumulare 10.000 ore di esercizio: solo Bobby Fisher sembra abbia impiegato meno.

Cosa significa tutto questo? Che lavorando duramente il successo è garantito?

Direi proprio di no! Quello che possiamo dire, e che emerge dal lavoro di Gladwell, è che il lavoro duro e finalizzato rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per essere riconosciuti come esperti.

Ma posso dire per esperienza diretta, anche se meno autorevolmente dell’autore che ho citato, che non ho mai visto qualcuno lavorare duramente e rimanere con un pugno pieno di sabbia.

Voi cosa ne pensate?

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Commenti
Paola Gatto 7 Settembre 2011 0:00

Non posso quantificare il numero di ore, ma sono d’accordo sulle conclusioni. Una grande esercizio affina le capacità, lo stile, apre le porte alla padronanza, permette alla fine di utilizzare “lo strumento”, qualsiasi esso sia, in maniera personale, seguendo percorsi nuovi, lasciando con fiducia quelli già battuti. E il lavoro diventa, così, arte.

Francesca Cosi 17 Ottobre 2012 0:00

Ciao Arduino,

grazie per questo bel post che mi ha fatto pensare e mi ha spinto a leggere il bel libro di Malcolm Gladwell che hai segnalato; consiglio anche il suo “Il punto critico” (trad. it. Patrizia Spinato), sui grandi effetti prodotti dalla somma di piccoli cambiamenti. Questo scrittore sa riflettere e far riflettere in modo originale e stimolante sulle cose che fanno la differenza.

Per rimanere in tema, ultimamente ho divorato l’avvincente biografia di Agassi (“Open”, trad. it. Giuliana Lupi), che conferma quello che sostieni nel post: quando era un bambino, il padre gli aveva costruito una macchina sparapalline da tennis e lo costringeva a colpire 2500 palle al giorno, cioè 17.500 alla settimana, cioè poco meno di un milione all’anno… non c’è da meravigliarsi che sia poi diventato il campione che tutti conosciamo, nonostante per lungo tempo abbia trascurato altri fattori importanti per uno sportivo, ad esempio l’alimentazione, la preparazione psicologica e, al di là della macchina sparapalline, il giusto allenamento.

Grazie e a presto,
Francesca

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