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Quando la competenza è una colpa.

11 Ottobre 2011 | di Arduino Mancini Capitale intellettuale, Proprietà Intellettuale - Tutta colpa tua

agitometro

Vi è mai capitato di sentire qualcuno molto ben remunerato per il suo lavoro (specie se da lavoro dipendente) giustificare le sue superiori ricompense con la conoscenza e competenza costruite negli anni?

Io non ne ho memoria.

La mia esperienza è costellata di persone anche molto preparate che tendono a giustificare la superiore remunerazione con il numero di ore che immolano alla causa del lavoro, sottraendosi (loro malgrado?) all’affetto della famiglia.

Un esempio?

Una persona di cui ho scritto è Sergio Marchionne, ma potrei citarne diversi.

Perché questo accade? Per quale ragione rimane il numero delle ore lavorate il metro dell’impegno nell’organizzazione e non il risultato raggiunto?

In Italia la conoscenza non è apprezzata e tanto meno valorizzata.

Le imprese e lo Stato predicano che le persone sono la più grande ricchezza ma investimenti sul capitale intellettuale sono praticamente nulli, come testimoniano i tagli al sistema scolastico.

Nelle organizzazioni l’attenzione è alla velocità con la quale ci si muove nei corridoi a dare la sensazione del nostro valore: perché l’azione, si sa, vale più del pensiero.

E allora che fare? Beh, ci siamo attrezzati.

Il lavoratore instancabile si è dato il dodecalogo per far apprezzare il suo lavoro.

I manager si sono dati il tempo di permanenza al lavoro come metro per giustificare una retribuzione sostanzialmente più alta.

Noi consulenti abbiamo acquisito particolare maestria nel coltivare la dipendenza delle organizzazioni da quel poco di sapere specifico che abbiamo accumulato nel tempo.

E della conoscenza, che ne facciamo? La buttiamo a mare?

Per carità, tenetela stretta. Ne siate consapevoli o no, è ancora e sempre lei a darci da vivere.

Ma non ostentatela, non portatela mai a giustificazione dei vostri compensi e accompagnatela sempre a una buona dose di agitazione.

Meglio non rischiare.

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Commenti
Davide 18 Ottobre 2011 0:00

Arduino,
sono pienamente concorde col tuo pensiero. Sentendo parlare di molti manager si sente spesso dire che “il dr. Carneade ha sposato l’azienda vivendoci praticamente dentro: che bravo!”
Da parte mia credo che sia molto più difficile risolvere bene i problemi “comuni” (tipo creare una famiglia sana e armoniosa) che fare una brillante carriera in quanto nel secondo caso si è concentrati solo su se stessi nel primo si è concentrati anche su altre persone che spesso hanno la priorità. resto comunque un “illuso” che si possano fare entrambe le cose.
E’ un luogo comune pensare e vedere il proprio capo andare a casa dopo di noi in quanto “il capitano deve essere l’ultimo ad abbandonare la barca” o almeno così deve e vuole far credere.
Grazie per i tuoi spunti di pensiero,
a presto,
Davide

AM 19 Ottobre 2011 0:00

Il punto, a mio avviso, è: per quale ragione molti hanno pudore ad ammettere che guadagnare di più in virtù di una maggiore competenza non è scandaloso?
Mi aiuti a rispondere Davide? Anche gli altri sono invitati.
A presto leggerti,
Arduino

    Davide 21 Ottobre 2011 0:00

    Interessante come domanda!
    A mio parere ci sono competenze misurabili (capacità tecniche, commerciali, conoscenze linguistiche) ed altre non (attitudine alla collaborazione, saper cogliere il momento per fare una determinata scelta, rapidità di decisione..), ognuno di noi è “più forte” in alcune e “più debole” in altre. Detto ciò si percepisce se in assoluto la persona che citroviamo davanti è competente oppure no. Molti hanno questo pudore perchè nel nostro sistema la competenza non basta per guadagnare di più, altri perchè sul piatto della competenza avrebbero poco da mettere.

AM 22 Ottobre 2011 0:00

Ottima osservazione Davide. Per misurare il tempo basta un orologio, misurare la competenza è compito complesso non difficilmente gestibile in un quadro di riferimento definito.
A presto, leggerti,
Arduino

    Paola 22 Aprile 2013 0:00

    Ciao Arduino, dobbiamo ammettere che l’Italia non è il paese ideale dove veder riconosciuti i propri meriti e a conferma di questo citerei Giordano Bruno (bruciato), Leonardo da Vinci (che ha finito i suoi giorni in Francia) e, perchè no, Cristoforo Colomb, che si fece finanziare dalla Spagna il suo viaggio verso le Indie/Nuovo Mondo, fino alle donne che ancora oggi in Italia non vengono considerate “diverse” e quindi portatrici di un valore aggiunto ma piuttosto portatrici di un minus alla nascita…. insomma il merito non possiamo studiarlo nei libri di storia e neanche viverci dentro, fino forse a considerare la cosa normale e quindi a ripiegare su un metro di valutazione numerico che fin troppo assomiglia a quello con cui valutiamo le galline ed il numero di uova che ci danno al giorno.
    Grazie per lo stimolo, sempre molto speciale…

AM 24 Aprile 2013 0:00

@Paola.
Grazie a te del commento, che sottoscrivo.
Proprio domenica scorsa Report ha trattato la questione dei cavalieri del lavoro, onoreficenza che dovresti perdere quando non sei più in linea con i requisiti.
Ma a perdere l’onoreficenza è stato solo Tanzi, su richiesta di Report.
Aggiungo la triste figuraccia che il ministero ha fatto con la “Signor Maria Luisa Cosso” (i moduli non prevedono donne cavaliere…) la quale ha visto tutti congratularsi con il marito che l’accompagnava.
Grazie del commento e a presto leggerti.
Arduino

Corto Maltese 5 Giugno 2013 0:00

Anche questo post l’ho commentato sul mio blog http://dipendenteriluttante.blogspot.it/
Qui vorrei aggiungere che ciò che mi fa pensare è che la competenza è bandita soprattutto dal mondo dell’azienda, e in particolare da quella manifatturiera, mentre in altri ambiti continua ad avere lo spazio che merita.
Nelle professioni, nella Sanità, nell’Università la competenza è importante e ci sono metodi e mezzi per misurarla, in azienda invece ha preso il sopravvento la frenesia e la quantità, soprattutto se mostrate con affettazione.
Mi piacerebbe capire quali sono i motivi reconditi per cui in queste organizzazioni si è arrivati a questo punto.

AM 16 Giugno 2013 0:00

@Corto Maltese. Scusa il ritardo, dovuto a ragioni “tecniche”.
Quali sono i motivi reconditi per cui in queste organizzazioni si è arrivati a questo punto?
Una ragione la trovi certamente nella difficoltà che troviamo nel misurare tutto ciò che sfugge a un sistema metrico (la conoscenza e competenza un ottimo esempio) e il fatto che affidarci al tempo ci rassicura e ci consente di romperci la testa nel cercare di misurare l’intangibile.
E comunque, la conoscenza tende a spaventare chiunque non si senta preparato a gestire il ruolo che occupa…
lascio a te le conclusioni.
A presto leggerti, Arduino

Corto Maltese 18 Giugno 2013 0:00

Grazie per la risposta Arduino.
Quello però che non quadra è il perché la competenza viene bandita solo nelle organizzazioni aziendali, mentre in altri contesti è apprezzata, incoraggiata e misurata: visto che è difficile riconoscerla anche in questi ambienti dovrebbe essere trascurata anche lì.
Ho fatto alcuni esempi di contesti in cui ciò avviene, ma se ne possono trovare molti altri: di fatto solo in azienda, e soprattutto in alcuni tipi di aziende avviene ciò.

AM 18 Giugno 2013 0:00

Credo che tu sia un ottimista.
La competenza piace a chi la paga per trasformarla in denaro, piace a chi ne subisce il fascino e sa che può recargli, comunque, vantaggi, piace a chi piace sempre e comunque imparare.
Ma quando la competenza diventa un elemento di differenziazione che può portare dei vantaggi a chi la detiene a scapito di chi sa di non possederla allora nasce il conflitto.
Guardati intorno, ma sii ottimista, nonostante tutto.
Perché ne vale la pena.
Grazie e a presto leggerti. Arduino

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