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Il leader conviene forte e deciso. O no?

2 Marzo 2012 | di Arduino Mancini Fare il (e la) leader, che fatica…

Nell’interessante dibattito che è seguito al post per titolo Il problem solving per…inerzia è emerso il concetto del deterioramento della leadership come conseguenza di una tendenza alla “non decisione”.

È vero questo? La percezione di “non decisionegenera nel seguace una sensazione di debolezza del leader?

Chi segue il mio blog con una certa continuità sa che il tema della leadership è per me particolarmente spinoso; troppe le variabili, diverse da situazione a situazione, per parlare del tema in termini generali.

Al lettore piace leggere posizioni chiare per costruire una sua visione delle cose, da tenere come riferimento per valutare adeguatamente le situazioni che si troverà ad affrontare in futuro.

Ma le posizioni nette, quando parliamo di leadership, le abbiamo raramente perché a farla da padrone è il legame esistente fra leader e seguace: un legame che dipende dall’ambiente  sociale (politico, economico, organizzativo), dal livello culturale delle persone coinvolte (e dalla loro influenzabilità), dagli interessi in gioco, dai valori di riferimento.

Ho deciso allora di trattare il tema dal punto di vista di un’idea di leadership che vedo piuttosto diffusa nelle persone, identificabili come seguaci, e analizzarla senza troppi distinguo.

Il leader è generalmente ritenuto autorevole quando:

  • sa sempre quello che deve fare, senza tentennamenti, anche di fronte a situazioni complesse;
  • percepisce in sé una competenza complessivamente superiore a quella delle persone che guida;
  • prende decisioni in modo rapido;
  • impartisce ordini;
  • prende decisioni in modo autonomo.

Di conseguenza abbiamo la sensazione di indebolimento o deterioramento della leadership quando la persona:

  • di fronte alle situazioni, specie quelle complesse, mostra dubbi circa la strada da intraprendere e analizza le alternative;
  • percepisce il fatto che tutta la conoscenza necessaria ad affrontare compiutamente situazioni complesse difficilmente è in possesso di una sola persona;
  • gestisce le situazioni valutando volta per volta se e quando agire, in relazione a criteri di opportunità e risorse disponibili;
  • consapevole della limitatezza della conoscenza individuale pone domande, cercando di attingere alla conoscenza delle persone con le quali interagisce;
  • ove necessario condivide le decisioni, consapevole della fallacia individuale.

Una leadership dai comportamenti espressi nel primo caso è in genere percepita come rassicurante.

Il leader che percepiamo come “debole” ha abbia minori probabilità di cogliere i risultati?

Io ho qualche dubbio.

E tu?

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Commenti
federico 3 Marzo 2012 0:00

Caro Arduino,
personalmente non ho dubbi: la seconda che hai detto. La tua descrizione del modello di leadership debole è magistrale (sono ammirato).
Il fatto è che nel mondo del lavoro sarebbe il caso di smetterla di parlare di leadership, con tutti gli orpelli psico-sociologici che tu descrivi benissimo.
La tua perfetta “leadership debole” è semplicemente il modo corretto di lavorare quando si sa che con il lavoro la leadership ha pochissimo a che fare. Con i leader non si lavora, magari si conquista il Palazzo d’Inverno, si vince la Champions League, ci si lancia in battaglia, si dà l’assalto al cielo, ci se ne innamora o li si odia, ma sono tutte cose piuttosto remote dal lavoro.
Basta notare come le (vere o presunte) doti personali di leadership del capo non siano in realtà affatto importanti per i collaboratori. Per loro, il capo è anzitutto e semplicemente la presenza dell’azienda. Per chi lavora con lui, il capo Pippo non è un cavaliere Jedi, ma la Vattelapesca Spa, rappresentata più o meno casualmente in quel caso da Pippo medesimo. Alla fine, i veri meriti e le vere colpe – correttamente – saranno imputati all’azienda, mica a Pippo.
Peraltro, se Pippo ci pensa, anche i colleghi che da lui dipendono non sono guerrieri che gli hanno giurato fedeltà pronti a piombare con lui all’inferno, ma dipendenti della Vattelapesca Spa che come lui devono guadagnarsi lo stipendio. Come la loro busta a fine mese comprende anche un qualche risarcimento per l’essersi trovati Pippo come capo, lo stipendio di Pippo comprende l’essersela dovuta cavare con le persone che alla Vattelapesca Spa è capitato negli anni di assumere, invece che con una squadra d’assalto creata “ad hoc” come magari sarebbe piaciuto a lui.
Il popolo dei collaboratori in genere tutto ciò lo sa benissimo. E’ solo il capo ad essere talora convinto che da lui ci si attenda il Richard Burton di “Dove osano le aquile” (o il protagonista di un qualsiasi film eroico che ti piaccia di più). Da questo punto di vista, il peggior individuo che ho conosciuto era un tizio così convinto di essere un leader e di doverlo comunque essere (Iddio lo perdoni) che a un certo punto acciuffava i suoi collaboratori per porre l’invariabile e delirante domanda: “Ma tu sei con me o contro di me?”. Ridicolo, ma ti assicuro che saresti molto stupito se te ne facessi il nome (famosissimo).
Fuori la leadership dal mondo del lavoro, insomma. Non a caso, nelle aziende i sermoni sulla leadership – fortunatamente un po’ passati di moda – vengono curiosamente indirizzati ai (presunti) leader e solo a loro. Mi sembrano soltanto pericolose coccole dell’ego (quello dei presunti leader medesimi), cerchiamo di farne a meno.
Sorry, amico caro, ma quanto alla leadership sono come Goebbels con la cultura: quando la sento nominare, metto mano alla pistola.

Marco rovatti 4 Marzo 2012 0:00

Concordo che il dubbio debba condurre il vero leader. Il primo ritratto che hai fatto è riconducibile ad una figura retorica/romantica che esiste solo nelle sceneggiature di film d’azione ovvero l”eroe”.
De Crescenzo scrisse: “chi non ha dubbi è un imbecille. E su questo, non ho dubbi”.

AM 7 Marzo 2012 0:00

@Federico. Troppo buono circa la valutazione del contenuto. Concordo nel complesso con quanto affermi e resto curioso circa la persona abituata a “contare i fedeli”: anche se un sospetto ce l’ho. Preparati perché presto perlerò di carisma e impostura.

@Marco. Pienamente d’accordo sul dubbio come guida: deliziosa la citazione di De Crescenzo. Concordo anche sul fatto che il primo ritratto è riconducibile ad una figura retorica/romantica: purtroppo la mia esperienza insegna che esiste non solo nelle sceneggiature di film d’azione e i danni che combina di romantico hanno ben poco. Cosa ne pensi? Torna a trovarci, abbiamo bisogno di pensiero ed esperienze come la tua.

A entrambi grazie e a presto leggervi.

Roberto 8 Marzo 2012 0:00

Personalmente ritengo che tra i due tipi di leader, il secondo abbia maggiori probabilità del primo di cogliere i successi. Purché abbia la capacità di assumersi anche la “responsabilità” della sua debolezza.

Per esperienza personale, ritengo che i capi del primo tipo spesso siano degli insicuri di fondo, che credono di tenere sotto controllo le proprie paura vestendo la maschera del deciso. Alla lunga o scoppiano o vanno a “sbattere contro un muro” per non aver saputo cogliere i segnali che qualcuno cercava di mandar loro.

Il dubbio è una delle cose più sane, beninteso purché non sia un un alibi per non fare nulla, ma lo strumento attraverso il quale crecare le soluzioni.

Ed infatti adesso che ci penso, mi viene il dubbio che queste mie affermazioni siano troppo decise……….

AM 8 Marzo 2012 0:00

Voglio risponderti subito Roberto.
Il tuo commento è interessante e autoironico: davvero apprezzabile.
Avere dubbi non significa, a mio avviso, vivere nella sistemica indecisione: significa piuttosto arrivare alle proprie convinzioni attraverso un percorso che tiene conto anche di cose che potremmo (e spesso vorremmo…) ignorare.
Tu, a me, hai dato questa impressione.
Chiedo a te, e agli altri, un parere.
Benvenuto e a presto leggerti.

Max 8 Marzo 2012 0:00

Il primo intervento di federico è come un setaccio. Raccoglie veramente i maggiori spunti su cui discutere e io ne condivido in toto il contenuto. Aggiungo che “chi sa fa, chi non sa insegna” che attualizzato diventerebbe “chi non sa gestisce”.
Nel mondo del lavoro si parla sempre più di team, ma un team avendo bisogno di un capitano, di certo non lo ricercherà in Pippo, che ad ogni decisione deve entrare in loop per capire le possibilità o occasioni (quindi a volte il leader lo si dovrà forzatamente imporre). Il mondo del lavoro non è sola pianificazione, ma decisione… e spesso è una decisione spiacevole o che potrebbe contrastare (pestare i piedi) con altri colleghi o reparti. Se hai basi solide a livello professionale, se hai una visuale a 360° che va oltre il recinto della tua azienda o ruolo, se il tuo obbiettivo è il bene dell’azienda e non del tuo reparto… sai che la pianificazione è SOLO una componente. Se invece per essere/diventare leader si punta solo su quella (ed un leader leggero pianifica e gestisce coinvolgendo chiunque lui pensa possa aiutarlo, allungando i tempi), l’azienda in questione si ritroverà ingessata, sommersa di convocazioni di riunione, di mail che richiedono “come potremmo risolvere?”, coi dipendenti che percepiscono che le direzioni non sono di azienda, ma di più persone (persone che a seconda della situazione, emotività, competenza, arroganza, ascendente, etc etc…riusciranno a consigliare il leader).
Di una cosa sono certo: chi affronta il problema smuovendo le acque e avendone titolo e capacità (ovviamente in un pensiero pro-azienda), si metterà in ombra a causa degli scontri interni. Chi invece chiede agli altri, da modo a tutti di sentirsi partecipi…ma non si sa quale direzione verrà intrapresa. il problema verrà risolto allungando i tempi, ma almeno tutti saranno felici. O lo saranno almeno finchè l’azienda sarà disposta a pagare il tempo perso per le indecisioni…

Azzurra 8 Marzo 2012 0:00

Sono perfettamente d’accordo con federico quando afferma che la leadership ha pochissimo a che fare con il lavoro. Il leader non è un operativo, piuttosto è colui che deve sapersi calare nell’operatività dei propri collaboratori per poi alzarsi e guardare oltre (analizzare le soluzioni, le strategie, le possibilità future, ecc).
E qui potrebbero già sorgere i primi casi interessanti: a volte abbiamo leader che si perdono nell’operatività, non riescono a stare dietro a tutte le questioni e quando decidono si accorgono che devono rivedere tutto perché ormai siamo in cassa integrazione; a volte abbiamo leader che prendono decisioni tanto per il gusto di decidere, non sapendo minimamente cosa comportino a livello operativo, e si trovano quindi a cambiare le carte in tavola durante il gioco lasciando spiazzati i giocatori.
Il “leader operativo” produce nei propri collaboratori la “sindrome dello slittamento”: le persone devono aspettare che si allineino i pianeti prima di ricevere delle risposte e quindi le questioni continuano a rimanere in standby e spostarsi in là nel tempo … mettendo però tanta carne al fuoco speriamo che alla fine non si bruci tutto!
Il “leader decisionale” genera la “sindrome di destabilizzazione”: le persone operano secondo le direttive che sono state date loro dal leader, poi le direttive vengono cambiate e loro devo cercare di capire cosa sta succedendo e riallinearsi operativamente … sempre che vengano informate per tempo dei cambiamenti decisionali!
A parte questi casi particolari, ritengo che solo il connubio tra leader “deciso” e leader “debole” possa descrivere la figura di leader, a mio avviso, più rappresentativa … d’altronde, la giusta via sta nel mezzo!

manuela 14 Marzo 2012 0:00

Io credo che il vero leader sia un misto delle due descrizioni. Certamente il leader deve essere carismatico, padrone di ogni situazione, deve saper prendere decisioni in fretta. A mio avviso tuttavia, e anche in base alla mia personale esperienza, un capo che consulta il proprio team, chiede opinioni, condivide le decisioni non lo rende debole agli occhi dei suoi seguaci, anzi lo rende più stimato e aumenta notevolmente il coinvolgimento e la motivazione, con ripercussioni positive sul lavoro di tutta la squadra, e di conseguenza, sul raggiungimento degli obiettivi.

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