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Hai mai sentito parlare del manager del conflitto?

Oggi voglio parlarvi del manager del conflitto, un ruolo non formalizzato che presenta caratteristiche sufficientemente definite, anche se in misura variabile nei singoli casi.

Provo a tracciarne il profilo.

  • Gestisce una posizione di vertice, a diretto contatto con il direttore generale/amministratore delegato o proprietà/consigliere d’amministrazione e altri manager che occupano posizioni di vertice o ad esso contigue.
  • Di solito è dirigente e lo troviamo presso società o gruppi di società di medie/grandi dimensioni con un livello di redditività ragionevole ma che hanno problemi di competitività e/o hanno necessità di recuperarla.
  • Gestisce solitamente una funzione di staff, dalle quali può gestire risorse con un buon grado di autonomia; più frequentemente al controllo di gestione o alle risorse umane, non di rado lo troviamo in amministrazione o ai sistemi informativi.
  • Il suo ambiente naturale è permeato dal conflitto che attecchisce al vertice. Il ruolo che gestisce trae forza dalle divergenze fra chi deve portare a casa il risultato (vendite, marketing, produzione, project management prevalentemente) e chi ne deve sostenere l’azione (le funzioni di staff, appunto), oppure diventa centrale nei casi in cui emergano contrasti circa la decisione di impiego di risorse cospicue (tipici dei periodi di budget che trovano prolungamento nelle revisioni in corso di esercizio).
  • Ha una preparazione specifica, relativa al ruolo che occupa, tendenzialmente carente. Proprio il sottofondo di conflitto gli consente di non prendere iniziative specifiche e di dissimulare così la sua scarsa preparazione: un lusso che non potrebbe permettersi se appartenesse a una funzione di linea.
  • I progetti di sua responsabilità prima o poi finiscono nel dimenticatoio, naturalmente per ragioni a lui non direttamente attribuibili.
  • Ama il potere e ci tiene che l’organizzazione pensi a lui come uno che ne ha tanto.
  • Tende a essere poco disponibile a ricevere persone che non reputa in grado di giocare un ruolo rilevante in situazioni per lui interessanti: la sua gestione è orientata al NO.
  • Difficilmente propone soluzioni: quando lo fa non hanno mai la veste di progetto definito o comunque una struttura tale da prestarsi a essere adottate con relativa semplicità.
  • È nemico del cambiamento: quando cambiare diventa ineluttabile egli dispensa la sua faticosa benedizione pur lasciando ad altri la responsabilità della decisione e la paternità del risultato finale.
  • Non ama le riunioni; nei rari casi in cui riescono a coinvolgerlo egli osserva e tace, limitandosi al general generico quando tirato in ballo.
  • Preferisce gli incontri a due nei quali, pur senza essere davvero esplicito (mai sbilanciarsi…), può dare all’interlocutore la sensazione di stare dalla sua parte.
  • Ha di solito l’aria preoccupata, sorride poco.
  • Ha tempo a disposizione, che impiega a pensare costantemente a valutare mosse e contromosse dei pezzi che ritiene essere presenti sulla scacchiera.
  • I consulenti che sceglie hanno caratteristiche definite: strisciano per ottenere contratti, sono poco preparati e soprattutto sono sempre disposti a riferire “confidenzialmente” le informazioni di cui sono in possesso.
  • Raramente aspira a conquistare il vertice aziendale, anche se può darne l’impressione. In verità la sua preoccupazione è quella di mantenere lo status quo, che gli consente di continuare a navigare in quell’ambiente a “conflitto controllato” nel quale egli pensa di poter far valere le doti di mediazione delle quali ritiene di essere in possesso.

Hai mai conosciuto una persona con queste caratteristiche? Si?

Allora scommetto che sei interessato a qualche ipotesi circa la sua gestione: eccole.

  • Difficile da disinnescare per i livelli della scala gerarchica lontani dal vertice, perché il nostro eroe tende a essere debole con i forti e forte con i deboli: i piccoli sono poco più che carne da macello.
  • Quasi sempre innocuo per il manager di linea (direttore vendite, direttore commerciale, direttore marketing per esempio) il quale lo teme per via della discrezionalità che ha nella gestione delle risorse e perché pensa che egli possa contribuire a generare situazioni non favorevoli; ma è un timore infondato perché il manager del conflitto non ha interesse a privarsi di chi porta a casa da mangiare (al suo stipendio ci tiene, come…), anche se il cibo potrebbe essere migliore qualità e in quantità superiore. Al massimo punge, difficilmente ferisce.
  • Se messo sotto pressione con progetti ben finalizzati tende a perdere colpi, per via del punto precedente e per scarsa abitudine al lavoro; quindi può essere una buona strategia tenerlo impegnato con progetti specifici che possano avere un diretto coinvolgimento con il business. Progetti di software gestionali, di training o formazione ad elevato grado di progettualità possono distoglierlo dal conflitto e orientare altrove le sue energie: tuttavia non aspettarti niente di eclatante.
  • Il manager del conflitto ha due grandi nemici: gli ottimi risultati, che richiedono comunque supporto di tutte le funzioni aziendali (anche quelle di staff…), e le perdite, che tendono a mettere a nudo le aree non produttive e che quindi lo espongono a rischi evidenti.

Un ultimo pensiero per l’amministratore delegato o, meglio, per l’imprenditore: potrebbe essere buona cosa riflettere se all’interno dell’organizzazione è presente una persona di vertice con le caratteristiche che ho descritto.

Se il manager del conflitto ha attecchito meglio buttarci un occhio: probabilmente la situazione è seria e vale la pena intervenire.

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