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Se non succede a me...

10 Dicembre 2012 | di Arduino Mancini Violenza sulle donne. E bambini

Il 23 novembre scorso sono stato alla manifestazione di Intervita Siamo pari, dedicata alla lotta contro la discriminazione femminile.

La serata si è aperta con le foto e il nome delle 112 donne uccise in Italia da un compagno, un marito o un uomo di famiglia nel 2012: un momento di grande commozione.

Poi il presidente di Intervita ha dato alcuni numeri che descrivono la condizione della donna nel mondo, che riporto fedelmente:

  • la violenza tra le mura domestiche è la prima causa di morte delle donne (fonte: OMS);
  • ammonta a 32 miliardi di dollari il giro d’affari del traffico di esseri umani, di gran lunga superiore di quello della droga e del traffico di armi (Fonte Greta, il Gruppo di esperti che si occupa della lotta contro questo atroce business);
  •  in Africa le donne che muoiono per parto si stimano in 165.000 all’anno (fonte UN Maternal Mortality Estimation Group, MMEIG – WHO, UNICEF, UNFPA, WB);
  • sarebbero circa 3 milioni le bambine a rischio di mutilazione ogni anno nel mondo (UNICEF)
  • si stima che solo in Africa il numero di donne che convivono con una mutilazione genitale siano 100-140 milioni.

In Italia? Presto detto:

  • secondo l’Istat sono circa 8 milioni le donne che subiscono violenza, di queste 5 milioni hanno subito violenza sessuale e il 96% delle violenze non viene denunciato;
  • 117 le donne uccise nell’ambito famigliare nel 2012 (sì ben 5 dal 23 novembre al 7 dicembre, quando ha perso la vita Lisa, una giovane di 22 anni uccisa dall’ex compagno);
  • 4.600 le potenziali vittime di mutilazioni genitali femminili.

Numeri parziali, che non dicono che nel sud del mondo molte donne e bambine subiscono violenza fisica e psicologica continua, muoiono di parto, si vedono negato dell’accesso all’istruzione, sono oggetto di tratta per prostituzione e di insidie sessuali.

Nel nord del mondo invece la violazione dei diritti si traduce più spesso in discriminazione non formale, e prende le sembianza di disparità di condizioni lavorative e di retribuzione, di esclusione dalle posizioni decisionali.

Numeri dei quali, forse, dovremmo un po’ vergognarci.

La soluzione? Non è dietro l’angolo.

Molto possono le famiglie, educando le ragazze a una cultura di denuncia della violenza e i figli maschi al rispetto e alla pari dignità.

Possono fare di più le nazioni, promuovendo un quadro legislativo che tuteli la persona e incoraggi la denuncia: e che lasci uno spazio maggiore alle donne, anche attraverso interventi legislativi specifici.

Possono fare di più i media, non liquidando l’articoletto del  25 novembre come un atto dovuto e gli assassini di donne nell’ambito famigliare come un ordinario fatto di cronaca.

Possono fare di più le imprese, eliminando le disparità di trattamento, retribuzione e accesso alla carriera che oggi esistono.

Possiamo fare di più noi tutti, uomini ma anche donne, nel non sentire tutto ciò lontano abbastanza da poter essere ignorato.

Perché, che tu ci creda o no, può accadere anche a noi!

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Commenti
Andrea 10 Dicembre 2012 0:00

rimango comunque contrario alle discriminazioni positive, vedi ad esempio le quote rosa, sono più per una educazione civica di massa retroattiva

AM 11 Dicembre 2012 0:00

Ciao Andrea,
non capisco il concetto di educazione civica di massa retroattiva.
Per ciò che riguarda le quote rosa mi vedono favorevoli per diverse ragioni:
– forzano lo status quo, obbligandoci a dare opportunità a chi non la offriremmo in virtù del potere che deteniamo;
– le donne sono più istruite e, spesso, più preparate. Potremmo accedere a un serbatoio di conoscenza che, per ragioni di parte, trascuriamo.
In fondo, se noi uomini siamo davvero più bravi, di cosa abbiamo paura?
Grazie e a presto leggerti,
Arduino

Giovanni 11 Dicembre 2012 0:00

Ciao, Arduino.
Sono abbastanza d’accordo con Andrea sulle quote rosa, mi sembrano un alibi del tipo: “visto che c’è stata discriminazione fino a oggi, creiamo de jure una discriminazione al contrario”, che, credo, sia il concetto di “educazione di massa retroattiva”.
Il vero passo avanti, secondo me, sarebbe predisporre gli strumenti, legali, per contrastare la discrimazione: “dimostro che la mia azienda mi paga di meno e mi fa avanzare più lentamente nella carriera, rispetto ai miei colleghi maschi; la legge mi consente di denunciare la discriminazione ed essere risarcita del danno”.
Per il resto, sono d’accordo su tutto: politica mediatica, educazione, eccetera. Educazione, soprattutto.

Andrea 12 Dicembre 2012 0:00

educazione civica di massa retroattiva = ritornare tutti a scuola indipendentemente dall’età, istruzione, stato sociale

non so se in italiano è corretto ma il senso era questo

Sulle quote non sono d’accordo perche’ ritengo che stabilire a priori quante donne (o uomini, è la stessa cosa) debbano ricoprire un determinato ruolo, in un qualunque contesto, porta a non vedere più il reale valore, al di la’ del sesso, della persona.

Trovo che questo problema vada affrontato a lungo termine, iniziando con una educazione corretta tra i banchi della scuola e in famiglia. Purtroppo quello che ci manca in Italia e che poi si manifesta in tantissimi contesti è proprio un reale senso civico e rispetto del prossimo.

Giovanni 12 Dicembre 2012 0:00

Ciao, Andrea.
Grazie per la precisazione sull’ “educazione civica di massa retroattiva”: è ancora peggio di ciò che avevo capito io, e sa di Stato illiberale ed etico, di cui si fa volentieri a meno.
Sono d’accordo con te sull’offuscamento del valore della persona, e, di conseguenza, del merito, ove, per legge, si prevedano vantaggi per determinate categorie, siano esse donne, stranieri, disabili, omosessuali, eccetera.
Ancora una volta, sono convinto che la soluzione non è avvantaggiare gli svantaggiati (discriminazione “positiva” che, inevitabilmente, si ritorce contro gli interessati stessi), ma fornire i mezzi, legali, per individuare la discriminazione (salario più basso,carriera più lenta, esclusione dalle opportunità) e per combatterla (risarcimento del danno, reintegro, revisione dei concorsi).

Silvia 14 Dicembre 2012 0:00

Ciao, mi sento in dovere di dire poche parole. Approvo le quote rosa perche a volte alcuni cambiamenti culturali nascono o meglio si attivano con dei paletti. In Italia manca tutto: le pene,i processi,il carcere,le case di accoglienza, i centri di ascolto.. Gli uomini ci uccidono,ci picchiano,ci mortificano in nome dell’ amore e per la paura di essere abbandonati L amore e’ coraggio,rispetto e liberta’ di essere diversi. Gli uomini non possiedono le donne e le donne non devono sentirsi orgogliose di essere ritenute un bene irrinunciabile. ” l amavo più della sua vita” lo abbiamo sentito troppe volte,vogliamo degli uomini che non ci amano troppo Ciao

Giovanni 15 Dicembre 2012 0:00

I “paletti” rientrano nell’atteggiamento dei divieti e degli obblighi, quello “restrittivo”, che, inevitabilmente, conduce verso il restringimento dell’orizzonte personale, e comporta la chiusura su se stesso dell’individuo: chi “deve” e “non deve” si disinteressa progressivamente degli altri, di ciò che fanno, e delle conseguenze del proprio operato su di essi.
All’opposto, l’atteggiamento “altruistico”, che è diverso da “altruista”, si alimenta di diritti e libertà, e conduce alla coscienza della comunità di individui interdipendenti. In questo atteggiamento, ciascuno ha la libertà di perseguire i propri obiettivi, nel rispetto di quelli altrui, e ha il diritto di disporre di analoghe opportunità, nonché dei mezzi per farle valere. Inclusi, quindi: tutela, sanzioni, risarcimenti, centri di ascolto, case di accoglienza, eccetera.
Non vale, infine, nemmeno la pena di ricordare che chi ama, qualcuno o qualcosa, più della vita stessa, altrui o propria, non ha ben chiaro cosa sia l’amore, e, di certo, non ama se stesso: è, quindi, molto lontano dall’essere in grado di amare.

Giovanni 16 Dicembre 2012 0:00

Rileggendo ciò che ho scritto ieri, mi sono reso conto di non aver sottolineato a sufficienza il punto fondamentale: l’atteggiamento “restrittivo”, mentre appiattisce socialmente la comunità, contribuisce ad ampliare la percezione delle differenze tra gruppi di individui, e, conseguentemente, ad accentuare le discriminazioni,di ogni tipo. Questo comporta, inevitabilmente, l’estremizzarsi dei contrasti, anche violenti, cui si assiste in questo periodo.
L’atteggiamento “altruistico”, che induce gl’individui a confrontarsi con gli altri, positivamente in un quadro di diritti e libertà, e del rispetto di essi, favorisce la costituzione del sentimento di comunità e appartenenza, che è alla base dell’evoluzione culturale. In quest’ottica, discriminazioni e divisioni perdono vigore e chi le sostiene viene via via isolato.
In Italia, per citare un caso vicino, la discriminazione è un male diffuso e strisciante, e colpisce non solo le donne, ma la maggior parte delle categorie: disabili, anziani, stranieri, residenti (spesso svantaggiati di fronte a extracomunitari di pari condizioni), nomadi, omosessuali, minoranze linguistiche, lavoratori con diverse forme contrattuali, eccetera. E’ inevitabile, inoltre, notare il proliferare di norme che stabiliscono sempre nuovi obblighi e prevedono divieti. Il problema ha confini molto ampi, e non sembra, quindi, avviarsi a una soluzione attraverso le “quote rosa” (obbligo).

Silvia 16 Dicembre 2012 0:00

Ciao Giovanni, penso che il tuo pensiero altruistico non abbia motivo di non essere condiviso ….le quote rosa sarebbero preferibili applicate in Afghanistan ma purtroppo le abbiamo in Italia. Non penso che siamo ancora così evoluti per fare in modo che i giusti cambiamenti avvengano senza qualche forzatura. Le quote rosa non risolveranno nessun problema ma aiuteranno a vedere molte più donne…..intanto iniziamo a circolare …… Ciao silvia

Giovanni 17 Dicembre 2012 0:00

Ciao, Silvia.
Temo di essere d’accordo con te: in Italia la coscienza sociale non è sufficientemente evoluta per sapersi gestire “coscienziosamente” diritti e libertà. La questione è più ampia, e travalica le quote rosa, ma sbuca in un circolo vizioso: attraverso divieti e obblighi si tenta di arginare l’abuso dei diritti e della libertà che il singolo, lasciato a se stesso, compirebbe. Ma, senza libertà, la coscienza sociale non evolve, e si ricade nella necessità di imporre nuovi divieti e stabilire nuovi obblighi.
La desolante considerazione finale è che, a dispetto di ogni garanzia “legale”, chi ne subisce le negative conseguenze, naturalmente, sono sempre i più deboli.

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