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Perché vuotare il sacco, dopo le dimissioni, può non essere una buona idea

La rabbia, dopo il divorzio

5 Dicembre 2013 | di Arduino Mancini Dimissioni, che problema!

Post aggiornato il 25 marzo 2020

 

Lasciarsi bene, senza sbattere la porta.

È la regola che tutti siamo concordi nel seguire quando si danno le dimissioni: perché, si sa, le strade possono sempre tornare a incontrarsi e allora è meglio non avere rancori da superare.

Eppure, non di rado, succede che a governare il distacco sia la rabbia.

Può infatti accadere che, nel corso del colloquio di commiato, la classica domanda circa le ragioni che hanno indotto il dimissionario a “perseguire altre opportunità” lasci emergere punti di vista diversi circa la gestione, che non sempre chi ha posto la domanda è disposto ad ascoltare. E ad accettare.

Allora la conversazione si sposta su altri temi: errori compiuti, torti subiti e chi più ne ha più ne metta.

In altri casi a far degenerare la situazione è il nome dell’azienda di destinazione: essere lasciati per un concorrente ha un po’ il sapore del tradimento. E a un traditore cosa vuoi portare, un mazzo di fiori?

Come si sente il dimissionario, in casi del genere? Molto spesso uno straccio.

Vede il rapporto costruito nel tempo andare in fumo e vive la situazione di conflitto come una sconfitta personale; specie se, durante il colloquio, la sua intenzione era quella di fornire un feedback che aiutasse a superare le criticità che gli hanno reso la vita difficile.

Che dire in questi casi?

La raccomandazione a chi accoglie le dimissioni è ovvia, e cioè di mettere da parte i rancori e concentrarsi sul feedback ricevuto per valorizzarlo al meglio.

Al dimissionario invece suggerirei di riflettere su due punti:

  • prima di fornire un feedback valutare sempre attentamente se esiste, nell’interlocutore, la reale disponibilità all’ascolto;
  • riflettere sul fatto che la rabbia, in casi del genere, ha il sapore del riconoscimento di valore.

Ti sei mai trovato in una situazione simile?

 

Trovi il post anche nel libro Palmiro e lo (s)management delle Risorse Umane – Tattiche di sopravvivenza aziendale.

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Commenti
Cristian 11 Dicembre 2013 0:00

A volte, però, può essere utile togliersi qualche sassolino dale scarpe…

Suvvia Arduino, se si va a lavorare per un concorrente e non sempre per migliori condizioni economiche, qualche ragione ci sarà pure, no?

Un abbraccio

Cristian

AM 12 Dicembre 2013 0:00

Il compenso è certo un indicatore.
E togliersi il sassolino dalla scarpa liberatorio.
Anche se, a liberarsi, sembra essere soprattutto chi si lascia assalire dalla rabbia.
Grazie Cristian, e a presto leggerti.
Arduino

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