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Rimpianto, paura e resistenza al cambiamento

30 Marzo 2015 | di Arduino Mancini Resistere, ferocemente, al cambiamento

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Quale legame esiste fra il rimpianto che possiamo sentire di fronte all’esito di un’azione, o per non averla compiuta, e la tendenza a mantenere lo status quo?

Analizziamo insieme il caso di due manager che lavorano per la stessa impresa.

Il signor Bianchi è un manager della Benvenuti Trattori SpA. Durante l’ultimo anno ha pensato in più di un’occasione di accettare una proposta di lavoro da parte della Piccoli Trattori SpA, ma alla fine è rimasto alla Benvenuti Trattori. Ora la Piccoli Trattori è stata acquisita dalla Grandi Trattori SpA: se avesse accettato l’offerta ora Bianchi lavorerebbe per un’azienda più grande e competitiva e avrebbe venduto alla Grandi Trattori il pacchetto di azioni che la Piccoli Trattori gli avrebbe offerto come bonus al momento dell’entrata in azienda, incassando € 10.000 in più rispetto alle quotazioni di mercato.

Il signor Verdi è un manager della Benvenuti Trattori SpA. Durante l’ultimo anno ha accettato una proposta di lavoro da parte di quest’ultima lasciando la Piccoli Trattori, la quale è stata subito dopo acquisita dalla Grandi Trattori SpA: se fosse rimasto alla Piccoli trattori ora Verdi lavorerebbe per un’azienda più grande e competitiva e avrebbe venduto alla Grandi Trattori il pacchetto di azioni in suo possesso, incassando € 10.000 in più rispetto alle quotazioni di mercato.

Quale, fra i due manager, sta peggio a tuo avviso?

Tenendo conto che entrambi non hanno guadagnato € 10.000 e lavorano per un’azienda meno competitiva il rimpianto dovrebbe essere paragonabile.

Diverse ricerche confermano invece che le persone sentono forte il rimpianto quando si mettono nei panni di Verdi, molto meno quando si immedesimano in Bianchi. Questo per una semplice ragione: mentre Verdi rimpiange un’azione che ha commesso, Bianchi si rammarica per un gesto che non ha compiuto.

Insomma, a parità di risultato finale il non aver agito pesa meno della responsabilità di un’azione che ha causato uno stato di cose indesiderato; questo spiega le ragioni per le quali spesso le organizzazioni assistono ai mutamenti dell’ambiente senza reagire: se proprio dobbiamo registrare una perdita almeno facciamo in modo di non aggiungere ad essa rimpianto e senso di colpa.

Ma come cambia in prospettiva la valutazione di uno stesso evento? Chi, fra Verdi e Rossi, sarebbe stato maggiormente colpito dal rimpianto dopo qualche anno?

Diverse evidenze sperimentali testimoniano che in questo caso l’incidenza del rimpianto si inverte e colpisce in misura maggiore il non aver agito: il non aver saputo cogliere le opportunità pesa molto più che nel breve periodo.

Come spiegare tutto ciò?

A mio avviso a frenare l’azione nel breve periodo è soprattutto il timore di sbagliare e subire le conseguenze di un eventuale errore: il disagio di fronte a una situazione causata dalla non azione si limita al rimpianto e ci risparmia sensi di colpa o conseguenze ulteriori. Anni dopo, quando il timore delle conseguenze di un insuccesso si è ormai affievolito, a prevalere è il rimpianto per non aver trovato il coraggio di agire e realizzare il cambiamento.

In conclusione, sembra proprio che la disponibilità ad agire si rafforzi solo quando il dito puntato, addosso, non lo sentiamo più.

O no?

 

Se vuoi approfondire il tema del rimpianto in relazione alle azioni (non) intraprese fai clic qui.

Se vuoi sapere di più circa la resistenza del cambiamento leggi questo post.

In caso

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Commenti
Stefano 31 Marzo 2015 0:00

Ciao Arduino,
già, la penso come te.
Per esperienza personale posso dire che fare un passo importante nella vita, un cambiamento nuovo è importante e sarà efficace nel tempo solo se lo si ha realmente voluto e sentito dentro noi stessi.
Quindi quando non si sente più il dito puntato addosso.
Sarà stato peggio non averlo fatto, avvertendo il rimpianto, anche se si avrebbe percepito di restare nella propria misera situazione di sicurezza, o meglio, sopravvivenza.

MICHELE 31 Marzo 2015 0:00

Meglio agire, sempre, ovviamente valutando prima i pro ed i contro del momento e mantenendo il sangue freddo.
Con il lavoro è una cosa che si può sempre fare, non facilmente, certo, ma si può fare.
Prima di agire pensare scientificamente e senza trascurare nulla, poi, una volta che hai agito, procedere con assoluta decisione e sicurezza (pronti anche ad incassare eventuali danni, ovviamente, ma anche questo va pianificato il più possibile).
Vi faccio il mio personale esempio: quadro di FIATAVIO, sono andato via nel 2005 per mettermi in proprio. Fondamentalmente perchè l’azienda era in una fase di stallo (cassa integrazione e blocco delle carriere e, soprattutto, grande caos e pochi soldi, molto pericoloso con gli aerei) e perchè in Salento stava esplodendo il fotovoltaico (10 anni di boom, ora ridimensionato).
Mi è andata bene, perchè ho imparato tante cose nuove, ho fatto i soldi ed esperienze che, in FIAT, mai e poi mai avrei fatto.
Ora però AVIO è diventata GE e si sono aperte strade inimmaginabili (lavorare in GE era il mio sogno). Dovrei essere pentito? Assolutamente no, allora ho fatto la cosa giusta per me stesso ed anche per l’Azienda (riducendo il carico di personale zavorra da mantenere con la cassa integrazione) e non potevo prevedere il futuro.
Pertanto non ho rimpianti, continuo ad amare e rispettare AVIO e l’aeronautica e se tornassi indietro lo rifarei.
Cambiare sempre per il bene di se stessi, egoisticamente (non è mica un matrimonio), anche perchè l’Azienda farà lo stesso con te, se necessario. E poi ho mantenuto buoni rapporti con la vecchia azienda, se avranno bisogno io sono sempre pronto!

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