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Il capo alza la voce: personalità o maleducazione?

28 Gennaio 2016 | di Arduino Mancini (S)management delle Risorse Umane

 

Una definizione generale del termine personalità…

… , che puoi trovare su questo blog, lo descrive come un insieme di caratteristiche psichiche e comportamenti che definiscono il nucleo delle differenze individuali, nei diversi dei contesti in cui si sviluppa la condotta umana.

Nell’accezione comune, attribuiamo una personalità “forte” a persone che mostrano caratteristiche quali l’assertività, la leadership e la resilienza.

Nella mia esperienza, troppo spesso commettiamo l’errore di confondere la forte personalità con la comune maleducazione: come, ad esempio, accade nella vignetta.

Tu cosa ne pensi?

PS: i capi animati dal desiderio di rendere manifesta la loro “forte” personalità farebbero bene a tenere presente, dell’interlocutore, non solo la posizione nell’organigramma. Un’occhiatina alla taglia potrebbe rivelarsi salutare…

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Commenti
Cesare 28 Gennaio 2016 0:00

Capita: abbiamo il pessinmo esempio di Junkers che per giustificare toni troppo alti ha detto che “a volte si usano parole maschie e virili”; ora, a tutti puà capitare di perdere la calma, ma negli affari non dovrebbe mai succedere, perché non è sengo di “personalità” ma di maleducazione. Anche perchè quando c’è bisogno si può essere molto critici e molto duri senz alzare la voce e senza offenderee… anzi, una critica può essere quasi peggio se fatta in modo pacato e determinato,

Ciro 2 Febbraio 2016 0:00

Buonasera Arduino, concordo pienamente che l’assertività, la leadership e la resilienza siano le tre componenti fondamentali della personalità forte…e purtroppo ho constatato che l’alzare la voce, la maleducazione, l’incapacità di autocritica che alcuni “leader” hanno, traspiri la loro insicurezza, il loro essere sopra le righe. Ritengo invece che il lavoro di squadra, anche con persone di profilo più “basso” possa portare a risultati migliori perché è la condivisione di idee che ti mostra la possibile soluzione al problema sotto un’ottica diversa

ngoc mai 3 Febbraio 2016 0:00

a mio parere chi alza la voce non è solo maleducato ma è anche incapace di gestire i rapporti con la persona che ha di fronte. Per nascondere l’incapacità di relazionarsi si utilizza a volte uno strumento che apparentemente dovrebbe servire a spaventare o prevalere sulle persone. In realtà se l’interlocutore resta in silenzio, il confronto non c’è e un ruscello diventa un fiume che separa le due persone

Andrea 3 Febbraio 2016 0:00

Buonasera, sono d’accordo con gli altri signori che hanno scritto i post precedenti. Ritengo che chi alzi la voce oltre il limite di una normale conversazione fondamentalmente sia una persona che non ha la piena capacità di gestire la situazione che si trova tra le mani in quel momento. Tra i miei responsabili passati e anche tra i miei collaboratori, qualche scena che definisco “da spogliatoio” o alla “chi urla di più vince” l’ho vissuta. Non li ho giustificati ne li giustifico tutt’oggi facendone una questione di carattere, io sono sanguigno per natura, ma ho imparato ad avere il controllo delle mie emozioni con fatica a volte, ma ce l’ho fatta. Quando mi trovo in situazioni simili, mantengo il controllo il più possibile, il fatto di non lasciarsi intimorire da sbraitamenti vari solitamente placa già di per se l’urlatore, attenzione c’è anche chi lo fa per strategia, al fine di spostare l’attenzione dal focus del momento e magari intimorire. In un caso limite, ho lasciato la stanza dicendo con educazione, torno quando possiamo parlare come due persone intelligenti perché la reputo tale, non mi ha licenziato. Mai mettersi sullo stesso piano, oltre a non comunicare si rischia di passare entrambi per maleducati se non peggio e se sentite la pressione salire, chiedere un minuto di pausa non è un reato.

AM 3 Febbraio 2016 0:00

Grazie per gli interessanti commenti.
Ho volutamente tralasciato nel post la componente emozionale, che ngoc mai lascia intravvedere sullo sfondo.
Non pensate che questa possa avere un ruolo?
E quale, secondo voi?
A presto leggervi,
Arduino

Claudio 7 Febbraio 2016 0:00

Salve a tutti, mi spiace essermi aggiunto in ritardo a questa conversazione, personalmente trovo che il fatto di alzare la voce, vada di pari passo sia con la maleducazione, sia con la dimostrazione dei propri limiti, infatti anche nella peggiore situazione bisogna essere razionali e trovare gli spunti positivi che passano migliorare una relazione o una situazione.
Porsi in maniera arrogante di certo non favorirà le aperture dei superiori, o collaboratori, ed alla lunga senza il contributo degli altri qualche obiettivo non verrà raggiunto.

Giorgio 8 Luglio 2016 0:00

Premesso, che dialogare con pacatezza e rispetto è fondamentale per mantenere un clima di reciproco rispetto, alzare la voce non sempre è indice di maleducazione. Vi possono essere solo cause di temperamento e impulsività di poca durata, delle persone. Uno sfogo, alle volte, è solo dovuto al disappunto per un cattivo risultato raggiunto, più che un cazziatone rivolto alla persona sulla quale si cerca di scaricare il proprio senso di colpa, per l’insuccesso. Non è neppure utile tacere e contemporaneamente mostrare indifferenza e distacco nei confronti del collaboratore che ha commesso l’errore.
Il superiore che ammonisce, può dimostrare mancanza di equilibrio, perché forse è, a sua volta, pressato da chi sta sopra di lui, che si aspetta di vedere che sappia dominare i suoi sottoposti usando, erroneamente, maniere forti. Egli potrebbe anche non essere contento di tenere un comportamento autoritario, non sapendo come comportarsi in modo diverso per esercitare il suo controllo. Le condizioni che inducono un superiore ad alterarsi, come pure le reazioni del dipendente che subisce, sono da contestualizzare. Non si può stabilire una regola per stabilire il comportamento che devono tenere le parti in causa, senza considerare i vari elementi che entrano in gioco, che riguardano il business, l’azienda, i processi, i prodotti, la concorrenza, la personalità degli attori ecc.
Un errore commesso dalle aziende, secondo me, è di pretendere dai propri collaboratori, solo risultati economici, misurati quasi esclusivamente sul tempo dedicato al lavoro. I dipendenti dovrebbero essere preparati a intrattenere rapporti interpersonali corretti, in azienda e con l’esterno. Non si dà importanza sufficiente a quest’aspetto, perché si ritiene che il “savuar faire”appartenga a tutti. Questo non è per nulla scontato. Certe caratteristiche comportamentali, o sono innate o si acquisiscono applicandosi. Con l’aumento dell’età si nota, però, una certa attenuazione dell’aggressività da parte delle persone.
Chiare regole, impartite a tutti i livelli di comando, invece, eviterebbero di rovinare il clima aziendale. Sempre che in azienda non viga il criterio che bisogna farsi largo a gomitate, per prevalere sui colleghi o tra i vari settori dell’impresa, per fare carriera. Non si dovrebbe applicare il “Divide et impera” per stimolare la competizione, ma favorire lo spirito di squadra.
In qualche caso si assiste anche ad azioni di mobbing o bossing, che vengono messe in atto per destabilizzare alcuni collaboratori scomodi, sobillando i sottoposti, i colleghi o i superiori di chi è sotto tiro, perché non si vuole o non si può affrontare la situazione in modo diretto e aperto.
In generale ci vorrebbe molta chiarezza sul posto di lavoro, e la capacità di capire che chi sbaglia, normalmente, non lo fa apposta e, pertanto, dovrebbe essere aiutato a superare le difficoltà, e non essere redarguito. Lo stesso criterio dovrebbe essere usato quando s’impartiscono istruzioni al personale, per indirizzarlo a svolgere il lavoro nei tempi e modi utili all’impresa. Quando i risultati non si raggiungono, poi, si va in cerca inutilmente del capro espiatorio.
Le critiche ai sottoposti (e anche le insubordinazioni nei confronti dei superiori), fatte ad alta o a bassa voce non importa, non sono mai positive, se hanno lo scopo di umiliare chi le riceve. È più utile ascoltare i rimbrotti o le insubordinazioni senza replicare, e lasciar cadere le provocazioni piuttosto che reagire, in qualsiasi maniera. Occorre essere preparati anche alle sfuriate e riflettere per capire dove effettivamente c’è stato l’errore. Dopo, si trova sempre il modo di tornare sull’argomento con un dialogo più sereno, senza necessariamente anticipare la necessità di un chiarimento. È naturale che di fronte a un rimprovero, specialmente se ritenuto ingiusto, la rabbia monti, e la reazione sia conseguenziale, ma per riuscire a tenere a freno l’impulsività, occorre allenarsi, specialmente se in azienda si vuole continuare a restarci.
Il clima migliora invitando le persone, a tutti i livelli, a collaborare ed evitare di premiare i successi dei singoli ma ricompensare i risultati di tutta la squadra e allora, tutti si attiverebbero per ottenere il miglior esito possibile, senza riserve e gelosie da parte di nessuno.
In azienda, spesso si assiste a guerre intestine, proprio nelle più alte sfere, che danno il cattivo esempio. I dissidi al vertice minano l’autorità dei superiori e sono fonte di chiacchiericcio che a sua volta è causa di perdita di tempo, di cattivo rendimento e di disaffezione dei dipendenti nei confronti dell’azienda.

AM 16 Luglio 2016 0:00

Ciao a tutti,
prendo spunto dai due ultimi commenti per domandare: può la ricetta suggerita da Giorgio avere successo?
Possiamo cioé avere successo “invitando le persone, a tutti i livelli, a collaborare ed evitare di premiare i successi dei singoli ma ricompensare i risultati di tutta la squadra”?
Vale per tutte le circostanze?
A presto leggervi,
Arduino

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