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Per non dover più rispondere alla domanda: "Come eri vestita, quella sera?"

Violenza sulle donne – Testo e video del monologo di Rula Jebreal al Festival di Sanremo 2020

23 Novembre 2020 | di Arduino Mancini Violenza sulle donne. E bambini

Oggi voglio pubblicare il monologo che Rula Jebreal, giornalista e scrittrice palestinese con cittadinanza israeliana e italiana, ha recitato al Festival di Sanremo il 5 febbraio 2020: troverai di seguito il video e il testo.

Un suggerimento: prima di guardare la clip, leggi il testo.

Buona lettura!

Nota bene –  Istruzioni per il video

  • Fai clic per far partire le immagini;
  • Vedrai comparire il collegamento Guarda questo video su YouTube;
  • Fai clic sul collegamento e il video si aprirà in altra finestra del browser;
  • Al termine del video potrai, se vorrai, tornare a leggere l’articolo su tibicon.net.

 

 

  • Lei aveva la biancheria intima quella sera?
  • Si ricorda di aver cercato su Internet il nome di un anticoncezionale quella mattina?
  • Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?
  • Se le donne non vogliono essere stuprate, devono smetterla di vestirsi da poco di buono.

Queste sono solo alcune delle frasi usate, delle domande rivolte alle vittime di violenza sessuale nelle aule di tribunale.
Domande insinuanti, che sottolineano una verità amara, crudele.

Noi donne non siamo mai innocenti!

Non lo siamo perché abbiamo denunciato troppo tardi o perché abbiamo denunciato troppo presto, perché siamo troppo belle o perfino troppo brutte, perché eravamo troppo disinibite, perché ce la siamo voluta.

Ti proteggerò dalle paure e dalle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via,
dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te.

Sono cresciuta in un orfanotrofio insieme a centinaia di bambine.
Noi bambine, tutte le sere, una per volta, raccontavamo una storia, le nostre storie.
Erano favole tristi, non favole delle mamme che conciliavano il sonno ma favole di figlie sfortunate che il sonno lo toglievano.
Ci raccontavamo delle nostre madri spesso stuprate, torturate e uccise.
Ogni sera, prima di dormire, celebravamo tutte insieme quelle parole di dolore. Io amo le parole, ho imparato venendo da luoghi di guerra a credere alle parole, e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore anche, e soprattutto, per le donne.
Ma poi ci sono i numeri: in Italia, in questo paese magnifico che mi ha accolto, i numeri sono spietati.
Negli ultimi tre anni, sono 3.150.000 donne che hanno subito violenze sessuali sul posto di lavoro.
Negli ultimi due anni, in media 88 donne al giorno hanno subito abusi e violenze, una ogni 15 minuti.
Ogni 3 giorni è stata uccisa una donna.
Sei donne sono state uccise soltanto la scorsa settimana e nell’80% dei casi il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa.
Ci sono le sue impronte sullo zerbino, il segno delle sue labbra sul bicchiere in cucina.

Butterò il mio enorme cuore tra le stelle, giurò che lo farò,
e oltre all’azzurro della tenda nell’azzurro io volerò,
quando la donna cannone, d’oro e d’argento diventerà,
senza passare dalla stazione l’ultimo treno prenderà.

Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha perso il suo ultimo treno quando io avevo cinque anni.
Si è suicidata dandosi fuoco.
Ma il dolore è una fiamma lenta che aveva cominciato a salire, ad annerirle i vestiti, quando era solo un’adolescente; il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi.
Era stato il luogo della sua tortura, perché mia madre Nadia fu brutalizzata e stuprata due volte: a 13 anni da un uomo e poi da un sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare, perché le ferite sanguinano molto di più quando non si è creduti.
L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei mentre le fiamme divoravano il suo corpo aveva le chiavi di casa.

Sally cammina per la strada senza nemmeno guardare per terra
Sally è una donna che non ha più voglia di fare la guerra
Sally ha già patito troppo
Sally ha già visto cosa ti può crollare addosso
Sally è già stata punita, per ogni sua distrazione o debolezza, per ogni candida carezza
data per non sentire l’amarezza

Quante volte noi donne siamo state Sally.
Mentre vi parlo c’è una donna che cammina per strada schiacciata dal senso di colpa, senza avere nessuna colpa.

Voi non avete nessuna colpa!

Mentre Franca Rame veniva violentata, il 9 marzo del 1973, l’anno in cui sono nata io, cercò salvezza nella musica: “devo stare calma, devo stare calma, mi attacco ai rumori della città, alle parole delle canzoni, devo stare calma” recitava nel suo potente monologo “Lo stupro”, in cui ripercorreva quel fatto drammatico.

Le canzoni che ho citato stasera sono tutte scritte da uomini, tutte.
Dunque, vedete, è possibile trovare le parole giuste, è possibile raccontare l’amore, il rispetto, l’affetto e la cura.
È questo il momento in cui quelle parole diventano realtà, il momento in cui quelle parole non sono solo cantate ma sono finalmente vissute ogni giorno.

Per farlo dobbiamo lottare, urlare da ogni palco anche quando ci diranno che non è opportuno.
Io sono diventata la donna che sono per mia madre e grazie a mia figlia Miral che è seduta in mezzo a voi. Lo devo a loro, lo dobbiamo a tutte noi, lo dobbiamo a una madre, a una sorella, una vicina, lo dobbiamo anche agli uomini per bene, all’idea stessa di civiltà, di uguaglianza, all’idea più grande di tutte, quella di libertà.

Adesso parlo agli uomini: lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere, madre di dieci figlie o madri di nessuna, casalinghe e in carriera.
Siete i nostri complici, i nostri compagni.
Indignatevi insieme a noi quando qualcuno ci chiede:

“Lei cosa ha fatto per meritare quello che le è accaduto?”

C’è un tempo bellissimo, tutto sudato
Una stagione ribelle
L’istante in cui scocca l’unica freccia
Che arriva alla volta celeste
E trafigge le stelle
È un giorno che tutta la gente
Si tende la mano
È il medesimo istante per tutti
Che sarà benedetto, io credo
Da molto lontano

Sono stata scelta stasera per celebrare la musica e per celebrare le donne.
Ma sono qui per parlare delle cose di cui è davvero necessario parlare.
Certo, ho messo il migliore vestito, e in fondo il senso di tutto ciò è nelle parole giuste, nelle domande giuste.
Domani chiedetevi come erano vestite le conduttrici di Sanremo, chiedetevi pure come era vestita la Jebreal, che non si chieda mai più a una donna che è stata stuprata come era vestita lei quella notte, che non si chieda mai più.

Mia madre Nadia ha avuto paura di quella domanda, mia madre non ce l’ha fatta e così tante donne.
Noi non vogliamo avere paura, non vogliamo più essere vittime, orfane, un accessorio, una quota.
Io lo devo a mia madre Nadia, lo dobbiamo alle nostre madri, lo dobbiamo a tutte noi, e lo devo anche a me stessa.
Lo dobbiamo alle nostre figlie e quelle bambine che qui e là, che nessuno può permettersi di toglierci il diritto di addormentarci con una favola.

Noi donne vogliamo essere libere, nello spazio e nel tempo, vogliamo essere silenzi, rumore, vogliamo essere proprio questo:

Musica!

 

Se vuoi, puoi continuare con i monologhi di Luciana Littizzetto e Paola Cortellesi con Claudio Santamaria.

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