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La gara occulta dei medici del doping

12 Novembre 2010 | di Arduino Mancini Sport

Il ciclismo ha il fiato corto.

In Italia indagano 10 procure, moltissimi cosiddetti campioni sono stati trovati positivi ai contolli antidoping: squalificati e di solito riammessi.

Il capo della procura antidoping del Coni, Ettore Torri, ha qualche giorno fa dichiarato provocatoriamente:

Il doping? Da legalizzare visto che si dopano tutti e noi ne fermiamo uno su 100.

Scandalo, reazioni delle associazioni pedalatorie sia nazionali sia internazionali: che volete, ciascuno difende la pagnotta come può.

Qualcuno, come Francesco Moser, ha anche parlato di un doping minimo accettabile: dichiarazione che sa di implicita ammissione.

Non vi dispiacerà se, sulla faccenda, dirò anche la mia.

Non vi è più competizione ciclistica che abbia una minima credibilità: l’unica competizione che sembra avere un senso è quella fra medici.

Vi spiego come funziona.

È noto che il doping ciclistico provoca tumori, soprattutto al fegato, cardiopatie, cardiomiopatie, danni neurologici e cerebrali.

L’elenco può proseguire.

Le regola non scritta della gara fra medici può essere così sintetizzata:

sottoporre i pedalatori a sostanze in grado di amplificare le prestazioni fino a livelli desiderati, mantenendoli in vita almeno fino a quando sono in grado di correre.

Se muoiono in seguito fa niente: passato qualche giorno tutto è dimenticato.

Vincono i medici che riescono a rimanere anonimi al grande pubblico, garantendosi automaticamente notorietà e prestigio nell’ambiente.

Che è quello che, per loro, conta.

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