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A proposito di resilienza: la sintesi dell’incontro con Attivamente

16 Giugno 2016 | di Arduino Mancini Eventi, Webinar. Interviste

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Lo scorso 8 giugno sono stato ospite degli amici di Attivamente, un gruppo di counselor che organizza interessanti incontri tematici e che per me rappresenta un riferimento sul tema dell’ascolto nella relazione di aiuto.

Alessandra Aglieri, Antonia Camarra e Marco Magrograssi mi hanno intervistato nel corso dell’incontro Rialzasi? Meglio non cadere, durante il quale abbiamo discusso di resilienza e delle tattiche di sopravvivenza che possono aiutarci ad affrontare un mondo complicato; ringraziamo quanti hanno raccolto il nostro invito e hanno partecipato all’incontro.

Video e vignette pubblicate su Palmiro, che troverai di seguito nella sintesi dell’intervista, ci hanno aiutato nella discussione.

Cominciamo.

Domanda – Il termine di resilienza è molto diffuso e sempre più impiegato in ambito di gestione delle risorse umane. Puoi darci la tua definizione di resilienza?

Risposta – Definisco la resilienza come quella caratteristica che permette alle persone di affrontare le situazioni difficili riorganizzando la propria vita e ripartendo verso nuovi obiettivi. Ma più che definire la resilienza mi piace mostrarla, con un video che proietto spesso durante le presentazioni del libro. Eccolo.

In questo video Heather Dorniden corre la semifinale dei 600 metri indoor ai campionati europei di atletica; se vuole arrivare in finale non ha alternative alla vittoria.
Quando è a un giro dal termine e in seconda posizione, l’atleta incespica e cade rovinosamente; fortunatamente non riporta danni, si rialza immediatamente e corre disperatamente per recuperare uno svantaggio che appare incolmabile.
Heather recupera il distacco metro dopo metro, fino ad aggiudicarsi la vittoria sul filo di lana.
Questo è la resilienza: quando un incidente ci costringe e modificare i nostri piani la resilienza ci rende capaci di darci una nuova organizzazione per raggiungere le meta: senza piangerci addosso o accampare alibi.

D. – Quando è diffuso il concetto di resilienza nelle imprese italiane?

R. – Posso rispondere per quanto riguarda la mia esperienza, limitata alla piccola e media impresa, e ai colloqui con colleghi che si occupano di selezione: per questo, quanto vado a sostenere non ha rilevanza quantitativa.
La resilienza non sembra godere di grande popolarità, poiché sono pochissime le imprese che la considerano una caratteristica essenziale nelle persone che inseriscono nell’organizzazione.
Eppure, in mercati sempre più competitivi, essere capaci di reagire agli inevitabili insuccessi è vitale per qualunque impresa: e come possiamo pensare di reagire se non assicurandoci il contributo di persone resilienti?

D. – Cosa puoi dirci dei manager delle imprese italiane? Possiamo definirli resilienti?

R. – In un articolo pubblicato su Palmiro faccio riferimento a una ricerca condotta da Aldai-Federmanager su dati Eurostat sull’occupazione manageriale in Italia.
I risultati sono sconfortanti: in tre anni dirigenti e quadri sono diminuiti in Italia del 54%, contro una media UE a 28 paesi del 31%.
Le ragioni?
I manager nostrani sono meno preparati dei colleghi europei oppure contribuisce al fenomeno anche la struttura del tessuto industriale italiano?
Spiego per esteso il mio pensiero nell’articolo; qui posso dire che una certa resistenza a frequentare corsi o, meglio, percorsi di formazione non aiuta a costruire la resilienza necessaria ad affrontare il futuro.

D. – Ora parliamo di lavoro al femminile. Il soffitto di cristallo, la barriera invisibile che limita l’accesso delle donne ai piani più elevati della gerarchia e al quale hai dedicato un capitolo del tuo libro, rappresenta una realtà anche in Italia. Come hanno affrontato le donne la crisi che ha investito il mercato del lavoro negli ultimi anni?

Occupati in Italia (2008=100)R. – Recentemente ho pubblicato un articolo dal titolo Resiste meglio alla crisi un uomo o una donna?, basato su una recente ricerca della Fondazione Hume.
Nel grafico accanto è possibile notare che l’occupazione complessiva e quella maschile sono ancora a livelli inferiori a quelli pre-crisi, mentre quella femminile si trova al di sopra della stessa.
Solo perché le donne guadagnano meno?
Semplicistico liquidare in questo modo il fenomeno, poiché ad esso contribuiscono certamente la maggiore attenzione alla preparazione di base (le donne laureate sono più numerose degli uomini laureati) e la flessibilità organizzativa che, in un tessuto industriale dove prevale la piccola e media impresa, ha portato le organizzazioni a considerare candidati di sesso femminile in maggior misura rispetto al passato.
Se vuoi approfondire il tema puoi leggere l’intero articolo.

D. – Una delle occasioni in cui siamo chiamati a impiegare la resilienza è certamente la ricerca di un nuovo lavoro, che oggi investe sia i giovani (elevatissima la disoccupazione giovanile) sia le persone che a più di 50 anni hanno perso il lavoro e fanno fatica a ricollocarsi. Cosa pensi di questi due fenomeni?

R. – Consideriamoli separatamente.

  1. Non conosco giovani in gamba o preparati in cerca di lavoro: tutti quelli che mi capita di incontrare e che cercano attivamente un lavoro finiscono per trovarlo in tempi rapidi, in Italia oppure oltre confine.
    Non credo alle difficoltà di quanti sostengono di conoscere 5 lingue, avere più di una laurea e un numero imprecisato di altri titoli, e che a 32 anni inveiscono contro il governo responsabile di non garantire loro un lavoro: magari sotto l’uscio della casa dei genitori.
  2. Più seria la questione dei disoccupati che hanno superato i 50 anni, che hanno vissuto il lavoro in azienda come un’esperienza che non sarebbe mai finita; molti di loro non hanno costruito un network, neanche virtuale, e si trovano oggi ad affrontare a mani nude una realtà durissima.
    A queste persone, che affrontano un’esperienza che ho vissuto due volte sulla mia pelle e che posso definire emotivamente durissima (perché chi non lavora non esiste…), suggerisco di fare il possibile per colmare eventuali lacune professionali, lavorare alla costruzione di un network e dedicare energie nella preparazione sia di un curriculum efficace sia di un anti-curriculum; e, soprattutto, abbandonare qualunque illusione che il lavoro che avranno nuovamente conquistato potrà durare per sempre.

D. – Veniamo ora a Palmiro, l’ultimo libro che hai pubblicato. C’è una caratteristica che più delle altre lo porta all’attenzione del lettore?

R. – Palmiro è soprattutto un libro che parla di resilienza, perché intende aiutare dipendenti, manager e imprenditori a investire sulle persone, unico reale fattore di competitività di un’organizzazione.
E mi dispiace di non averlo evidenziato in modo più deciso nella prefazione e nella quarta di copertina: comunque, qui puoi trovare l’indice e una descrizione dei contenuti.

D. – Per concludere, veniamo alle tattiche di sopravvivenza. Nel libro ho trovato molte divertenti vignette che descrivono situazioni complesse con ironia e leggerezza. Puoi presentarcene qualcuna?

R. – Con piacere. Eccone di seguito alcune: seguendo il collegamento puoi trovare anche il post al quale si riferiscono.

  1. Stanco di lavorare sempre per ieri? Ecco un utile test!
  2. Dieci frasi alle quali non credere quando qualcuno ne parla troppo
  3. La strategia dell’ignoranza
  4. Mai fare subito la cosa giusta
  5. Sai vendere te stesso? Rispondi a tre domande

 

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