Lungo la linea della storia ci sono due fili che collegano tutte le epoche: la violenza e il tentativo di contrastarla attraverso un efficace ordinamento giuridico.
I due fili si intrecciano quando tocchiamo il tema della violenza di genere (di cui la violenza sessuale è forse la forma più grave) e il difficile tentativo di combatterla attraverso la legge.
La percezione è che in troppi casi l’ordinamento giuridico italiano, non sia in grado di far fronte al fenomeno; lo testimoniano i troppi casi giudiziari conclusi con sentenze agghiaccianti, emesse al termine di processi nei quali la vittima è stata messa sotto torchio, colpevolizzata e umiliata.
Per questo ho chiesto a Lorenzo Gentile (a fondo pagina un breve profilo), studente del IV anno di Giurisprudenza presso l’università di Milano-Bicocca, di spiegarci in quale misura oggi la legge tutela le vittime di violenza sessuale.
Il nostro ordinamento giuridico ha sempre arrancato per stare al passo con i tempi; basti pensare che prima del 1996 la violenza sessuale ledeva la morale e non la vittima. Quasi a dire all’aggressore:
Fino al 1981 era previsto il matrimonio riparatore, in vigore dal Rinascimento, che consentiva all’aggressore di estinguere il reato se avesse sposato la vittima; Franca Viola, nel 1966, la prima donna a rifiutare il matrimonio riparatore.
Oggi, la norma che dovrebbe tutelare la vittima è il 609-bis del Codice penale, che dice tre cose molto importanti:
Analizzando più in dettaglio l’articolo 609-bis possiamo capire meglio le ragioni per cui, spesso, i processi per violenza sessuale generano indignazione fino a diventare casi mediatici.
Il comma 1 recita: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da 6 a 12 anni”.
Le casistiche previste sono limitate:
È radicata la convinzione che una vittima resista fisicamente alla violenza, magari finendo per cedere perché minacciata; se così fosse sempre, la norma sarebbe perfetta.
Ma le cose stanno diversamente.
Grazie ai progressi dello studio delle risposte di mente e corpo a situazioni di forte stress, oggi sappiamo che
Si potrebbero contestare le mie parole leggendo il comma 2 dell’articolo 609-bis, che recita:
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
Cosa afferma, davvero, questo comma?
“induce” è la parola chiave, che ha il significato di spingere: cosa che implica ancora un’azione violenta, che in giurisprudenza prende la forma di “pressione psicologica”.
Ora, veniamo al punto: qual è il grande assente in questa norma?
Anche se alla base di un rapporto sessuale c’è il consenso reciproco, quest’ultimo non è previsto nella norma che sanziona la violenza sessuale: e non è nemmeno menzionato!
Ed ecco che iniziano i problemi, perché può esserci violenza sessuale senza che la persona usi violenza, minaccia, abuso di autorità e senza che la induca: casi che lo stato attuale la norma non prevede.
Un ragazzo e una ragazza si conoscono in una festa a casa di un amico comune; bevono qualcosa insieme, poi si perdono di vista.
Durante la serata la ragazza beve un po’: ha vent’anni, ha finito la sessione di esami e vuole divertirsi.
Ad un certo punto, stanca, decide di riposare; entra in una stanza e si sdraia su un letto, dove giace già il ragazzo conosciuto in precedenza.
I due si riconoscono, si sorridono, si baciano.
La ragazza è mezza addormentata, in uno stato confusionale che credo noto ai più; il ragazzo, preso dal momento, si toglie i pantaloni, le sfila le mutandine e inizia un rapporto sessuale.
La ragazza è sveglia, è consapevole di cosa sta accadendo, vorrebbe smettere o dire qualcosa, ma è come pietrificata.
A questo punto vi domando:
Probabilmente tutti risponderemmo di sì, ma il nostro ordinamento dice di NO.
Perché? Semplice:
Il ragazzo ha presunto il consenso e potrebbe difendersi dicendo che non l’ha fatta bere, non l’ha minacciata, non ha usato la forza, non l’ha portata lui in camera da letto, lei non ha opposto resistenza.
Ecco che l’articolo 609-bis mostra tutta la sua debolezza, perché il nostro esempio esce dai parametri e il sistema va in tilt.
Lo so, il caso è provocatorio, ma non è così distante da molti casi reali, nei quali
cercando di dimostrare l’assenza dei requisiti del 609-bis.
Ed ecco spuntare le domande che accendono l’indignazione:
Domande che diventano strumento difensivo per gli avvocati del ragazzo.
Ho fatto questo esempio per spiegare come l’ordinamento attuale ci fa interrogare costantemente se un certo episodio rientri o no nella fattispecie della violenza sessuale: perché tutto si riduce a capire cosa la vittima può aver fatto per essere violentata.
La Spagna ha promulgato una legge detta “solo sì es sì”, che prevede che il consenso sessuale debba essere esplicito.
Applicando la legge spagnola al caso prima descritto, la violenza sessuale è evidente, perché la ragazza NON ha dato il consenso.
È fondamentale condividere che,
Il rapporto sessuale è un atto intimo, personale e privato, per questo non dobbiamo presumere il consenso ma il dissenso.
In Italia esiste un bisogno disperato di adottare una legge simile, perché il silenzio-dissenso andrebbe a evitare moltissime situazioni grigie:
Questo è il futuro che ci auguriamo, per avere finalmente un ordinamento che tuteli le vittime e che vanifichi ogni perverso tentativo di screditare chi ha subito violenza per salvare e giustificare l’aggressore.
Che cosa ne pensi?
Se ti interessa il tema della violenza sulle donne puoi ascoltare questi monologhi: