Gli schieramenti che si sfideranno nelle tornate elettorali sono unanimi nel promettere che metteranno il lavoro, specie quello giovanile, in cima alla lista del programma di governo.
E tutti sciorinano ricette che, variamente articolate, consistono in sgravi fiscali e incentivi più o meno fantasiosi.
Hanno ragione a comportarsi in questo modo? È davvero il lavoro la priorità?
La mia sensazione è che i partiti stiano rispondendo alla domanda degli elettori più che al reale bisogno, individuale e collettivo.
Mi spiego meglio.
Tutti gli schieramenti sembrano dimenticare alcuni punti fondamentali (peraltro sostenuti da numerose e autorevoli ricerche):
I nostri politici non siano a conoscenza di questo stato di cose?
Se ne sono a conoscenza, come credo, perché focalizzano l’attenzione sul lavoro, ignorando il tema dell’istruzione e della formazione?
Prima di rispondere a questa domanda, vorrei indicare 5 punti a mio avviso in grado di contribuire a combattere la disoccupazione giovanile:
Cinque punti non esaustivi che richiedono impegno, non possono essere realizzati con uno schioccar di dita e toccano interessi diffusi; cinque punti che possono restare lettera morta se le persone senza lavoro continueranno ad aspettare che altri risolvano il loro problema.
Ora torno alla domanda precedente: perché i partiti focalizzano l’attenzione sul lavoro, ignorando il tema dell’istruzione e della formazione?
Perché affermare di voler mettere il lavoro in cima alle priorità lascia intendere agli elettori che lo stato in qualche misura si farà carico della loro situazione, e che potranno aspettare serenamente il frutto dell’azione altrui.
Considerare genericamente il lavoro una priorità è elettoralmente più interessante che dire alle persone le cose come stanno, e cioè che la questione della disoccupazione richiede interventi di lungo periodo:
Ma, soprattutto, che nulla accadrà senza la determinazione del singolo nel costruire le competenze necessarie e conquistare e mantenere un lavoro: perché, senza quest’ultima, non andremo da nessuna parte.
Tu cosa ne pensi?
Io credo che l’importanza che il governo italiano dia all’istruzione traspaia nella decisione del ministro scelto; non rappresenta certo un esempio di meritocrazia. Lo scopo invece degli ultimi governi è stata palese quando nelle brochure del ministero dello sviluppo si vantava che in Italia gli ingegneri sono a basso costo e l’ex premier ha giustificato questa frase dicendo che questa si chiama COMPETITIVITÀ. La mia domanda è: può la tua “ricetta”, certamente efficace, essere adottata, anche in parte, da una nazione che vuole rendere i propri ingegneri COMPETITIVI?
Bellissima domanda Biagio.
Recentemente ho incontrato un politico locale piuttosto serio, tanto per capirci uno che nella scorsa legislatura in Parlamento c’è stato il 97% del tempo, candidato al senato.
È stato sorpreso dalla domanda e non era completamente pronto a rispondere: cosa che ha rafforzato in me l’idea che, in politica, non dobbiamo l’ottimo ma il meno peggio.
Accontentarci dei piccoli passi, sostenere chi non sembra volerci portare allo schianto, non ascoltare le chimere.
E non mollare, non smettere di dire cose come quelle che ho scritto.
Io ho fiducia, comunque.
Grazie Biagio, e a presto leggerti.
Arduino