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Il problem solving per… inerzia!

21 Febbraio 2012 | di Arduino Mancini Creatività e innovazione

Nei giorni scorsi ho pubblicato un post dal titolo Nessuno non prende decisioni come non le prende lui.

Diversi i commenti. Sapete cosa mi ha detto un Cliente, mentre li leggeva in mia presenza?

Meglio i commenti del post.

Sono consapevole che questo accade con una certa frequenza e ne sono felice.

Tanto felice da riprendere i dialoghi di una vecchia vignetta di Charlie e Lucy che Tiziano Bianconcini mi ha segnalato per farne a mia volta una vignetta.

Eccola qua: mi raccomando, commentate numerosi.

A Tiziano grazie e a tutti una buona serata.

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Commenti
federico 21 Febbraio 2012 0:00

caro arduino,
visto che ritorni sul luogo del delitto, ci torno anch’io.
1. “Non decidere” è una decisione. Se no, è un peccato capitale noto come accidia (splendida parola, tra l’altro).
2. Non esistono i falsi problemi. Se qualche mio collaboratore viene da me e mi dice “questo è un problema” ha assolutamente ragione: è davvero un problema, almeno per lui. Non è poco.
3. Se un mio collaboratore ha (almeno per lui) un problema, e io decido di risolverlo “non decidendo”, è perchè io credo di sapere – e lui non lo sa – dov’è il bandolo della matassa. Lo so non perchè io sia più bravo di lui; è solo perchè ho un punto di osservazione migliore (in teoria, se si sta più in alto si gode di un più vasto panorama). Per esempio, io so che lui pensa di avere un problema perchè in realtà qualcun altro non ha fatto quel che doveva (e il mio collaboratore lo ignora). Quindi, non è il caso di affannarsi a risolvere il presunto “problema”, visto che il guaio non è quello.
4. Di conseguenza, quando “decido di non decidere” di fronte a un problema è molto spesso perchè ritengo che la soluzione sia altrove: stando all’esempio, se mi riesce dovrò fare in modo che quel “qualcun altro” faccia quel che doveva, e magicamente il problema sparirà (con buona pace dei cultori e cultrici del Piccolo Principe – di cui peraltro faccio parte – ma che a proposito del Re parlava di tutt’altro…).
5. Quando la soluzione non è “altrove” credo si possa e si debba ogni tanto comunque “decidere di non decidere” – anche magari solo facendo passare del tempo, con il principio già definito nel mio post precedente “frollatura del fagiano”- per rispetto nei confronti di quelli che lavorano con noi. Se decido io sempre e tutto e subito, sono malvagio e stupido, perchè tarpo le ali a chi lavora con me. Malvagio: ritengo che i miei collaboratori valgano poco, che senza di me non siano nulla, sono un faso tuto mi che li umilia (abbiamo recentemente – e per me con assai poco rimpianto – salutato un signore che da vent’anni pretendeva di governarci con questi antiquati e scadenti sistemi…). Sono pure stupido, perchè i miei collaboratori, se li lascio lavorare in pace, potranno avere idee risolutive migliori delle mie; di queste potrò godere ammantandomi di gloria dopo averla – doverosamente ed educatamente – riconosciuta pubblicamente a loro.
Insomma, chi ogni tanto non decide, credo lo faccia soprattutto perchè si fida della sua squadra, e sa che questa potrà tirar fuori il meglio di sè se lasciata libera di lavorare senza troppe decisioni castranti. Io ho sempre pensato che il miglior complimento per me fosse: “Facile per te, con la squadra che hai”. E’ un complimento mica facile da meritarsi, ma un po’ di “accidia” intenzionale posso dire per esperienza che aiuta.
Federico

    Attilio 22 Febbraio 2012 0:00

    Quasi mai il non decidere è una decisione valida; al contrario quasi sempre con questo approccio si registra un deterioramento della Leadership.
    Poi trovo fuori luogo per non dire altro la sua digressione “politica”.

roberto 22 Febbraio 2012 0:00

ciao Federico (e Arduino).
Cerco di continuare il “gioco” con ironia ma dalla parte del collaboratore.
1) Non decidere è una non decisione, e lascia il gruppo nell’indecisione. Non sapere cosa fare, e non saperne il perché, spesso getta il gruppo nell’angoscia e nell’insicurezza. oppure nel menefreghismo.
2) Se per il collaboratore c’è un problema, la (eventuale) non risposta non lo tranquillizza di sicuro. Tanto meno lo stimola alla soluzione, anzi rischia di essere presa come modello di comportamento.
3) Come mai il tuo collaboratore non sa? Non lo deve sapere e non lo saprà mai, oppure non lo sa ancora? E’ curioso che una cosa di cui si occupa, o che gli hai rifilato tu, non gli sia nota. Anche perché tu sei in alto e vedi il problema da lontano lui invece …
4) E no, così non vale! Questo è decidere.
5) Ho l’impressione che con questo modus si rischi di frollare non il problema ma la persona e che la fine del fagiano così la facciano i collaboratori. Se prendono una decisione autonoma saranno sicuramente criticabili, se la soluzione proposta sarà valida (ma avrebbe certamente potuto essere migliore) perché hanno posto il problema? Altrimenti peggio per loro (che poi è un nuovo problema per te).
Non era meglio lavorare in gruppo, con una chiara indicazione della strategia direzionale?

MA 22 Febbraio 2012 0:00

…condivido…il commento del cliente, meglio i commenti del post…
ovviamente scherzo.
Un abbraccio
MA

emanuela 23 Febbraio 2012 0:00

Ciao Arduino,
essendo inesistente la neutralità comunicativa, il “non decidere” immediatamente è sicuramente un’occasione per vedere l’evolversi del problema e dei comportamenti messi in atto dal gruppo nel tentativo di risolverlo:
– era un “falso” problema e quindi un veloce confronto tra i collaboratori ne evidenzia l’inconsistenza (chi ha posto il problema era in una prospettiva statica)
– era un problema già posto e risolto con interventi già in essere, ma non noti al componente del gruppo che lo sta vivendo (si evidenzia una scarsa condivisione degli snodi decisionali)
– il gruppo non agisce per “affrontare il problema” e si mette in posizione di attesa… che “qualcuno” ci pensi (è un gruppo passivo, che va sicuramente rimotivato)
A questo punto il “non intervento” diventa un intervento mirato non solo alla soluzione del “problema”, ma anche alla messa a punto di strategie che rimettano in moto un gruppo più organizzato ed efficace nei suoi compiti

Enrico 24 Febbraio 2012 0:00

Arduino,
mi fai venire in mente una figura mitica degli anni ’90. Non la nomino ma tu forse sai di chi si tratta. Il Soggetto era manager di un gruppo di giovani tecnici ICT. Quando uno di questi aveva un problema, lui lo riceveva, ascoltava l’esposizione del problema stesso, annuiva frequentemente come se comprendesse ciò che gli veniva detto e concludeva l’incontro sempre nello stesso modo: chiedeva al collaboratore di sintetizzare il problema su una pagina scritta, ad uso di promemoria.
Può anche essere apprezzabile che il manager spinga i suoi collaboratori a esplicitare in forma scritta il proprio pensiero. Ciò stimola la riflessione consapevole, allontana gli equivoci del detto-non-detto, e funge comunque sempre da punto fermo e da base di partenza per le decisioni da prendere.
Il Nostro però possedeva anche una caratteristica singolare. Una scrivania dotata di un particolare cassetto che i collaboratori avevano perspicacemente ribattezzato, da bravi esperti Unix, il cassetto /dev/null.
Appena uno di loro arrivava con il fatidico foglio che sintetizzava il problema, lui lo prendeva, apriva il cassetto e, con un movimento ampio, quasi un gesto liturgico, lo riponeva in cima alla pila di fogli che là giaceva. Il collaboratore era così certo che il problema mai avrebbe avuto ulteriore possibilità di essere affrontato, sollevato, ricordato.
Il manager ha attuato questa politica di ‘seppellimento’ per anni, rimanendo saldo al suo posto (sai che sto parlando di una Multinazionale); lo hanno fatto fuori solo quando ha cominciato a comportarsi allo stesso modo con i suoi capi.
Buon Lavoro
Enrico

AM 27 Febbraio 2012 0:00

Bene Signore e Signori,

commenti articolati che meritano giusta risposta.

@Attilio. Non solo l’azione visibile è indice di volontà di azione. A me è capitato di temporeggiare e uscire, grazie a questo, da situazioni difficili. Ti consiglio, se non lo hai già fatto, la lettura di questo libro https://www.tibicon.net/libri/larte-della-guerra. Ti sarei grato se volessi precisare meglio il tuo pensiero sulla digressione politica di Federico.

@Federico, @Roberto, @Emanuela vedono la non decisione come un possibile modo di affrontare il problema; questo in barba allo stereotipo che vede l’azione come unico modo attivo (e visibile…) per affrontare la realtà. L’assenza di azione visibile può rappresentare l’indicatore di una precisa strategia, non necessariamente evidente.

@MA. Sono perfettamente consapevole che non pochi fra coloro i quali commentano su tibicon potrebbero gestire il loro blog: e per questo non di rado li invito a farlo (a quando, Federico?)

@Enrico. Troppo carina. Posso farne un post?

Grazie a tutti e a presto leggervi.

Arduino

federico 27 Febbraio 2012 0:00

Caro Arduino,
come sempre perfetta la tua sintesi. Ho letto con molto interesse i commenti, e ho trovato davvero ottimo quello di Emanuela (molto migliore del mio). Emanuela ha detto assai bene proprio quello che io (meno efficacemente) intendevo. Per cui, due minuscole annotazioni in chiusura. A Roberto: quando dico che “non decidere” – se lo si fa – deve essere una decisione, intendo appunto una “decisione”, cioè una presa di posizione pubblica e motivata. Se ho deciso che è il caso di non decidere, lo dico urbi et orbi e cerco di spiegarne il perchè (quindi non proliferano intorno a me angosce e insicurezze: se ci fossero, sarei del tutto d’accordo con Roberto). Per gli altri: Emanuela ha parlato di casi in cui (cito) ci sono “prospettiva statica”, “scarsa condivisione degli snodi decisionali”, “passività e necessità di rimotivazione”. Se qualcuno è così fortunato da lavorare in un luogo in cui non appaiono mai questi problemi, non posso che macerarmi nell’invidia. Per tutti quelli che lavorano in posti più normali, dove queste cose ogni tanto succedono, resto convinto che ogni tanto (ogni tanto!) una “decisione di non decidere” serva. Infine, mi resta il dubbio che chi decide sempre tutto e subito, il classico ghe pensi mi, rischi in breve tempo di non veder più cosa succede davvero intorno a lui (e qui torneremmo anche alle digressioni politiche, ma non le faccio perché c’è chi diventa nervoso…)
un caro saluto
federico

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